Con le nuove restrizioni sanitarie, gran parte dell’economia è costretta a fronteggiare il taglio drastico alla domanda di beni e di servizi. E anche il business del gioco d’azzardo ne paga le conseguenze. Nell’anno 2019 tutto il comparto del gambling aveva contabilizzato 110 miliardi e mezzo di euro di consumo, comminando perdite agli scommettitori per circa 20 miliardi. Poi è venuta la chiusura di marzo 2020, la riaccensione delle macchine a giugno, quindi le aspettative di settembre, con sconcertanti ottimistiche previsioni di contenimento dei ricavi sul meno 20% a consuntivo, tanto per i concessionari quanto per il fisco.
Proiezioni alle quali mostravano di credere i Monopoli e su cui contavano le compagnie. Ipotesi che anche prima del dpcm del 13 ottobre, in verità, erano assai temerarie. In ogni caso, difficilmente questo settore potrà sfuggire a una crisi senza ritorno: a meno che lo Stato eroghi sovvenzioni pari a quelle del bonus per le ristrutturazioni delle abitazioni private. Un’assurdità. Per l’azzardo si presenta infatti una variabile aggiuntiva: le scommesse, le lotterie, le slot machine ecc. sono dipendenti da un’avventurosa operazione finanziaria. E la speculazione sul denaro ha incontrato il Cigno Nero, nome che Nassin Taleb – matematico, filosofo e uomo d’affari di origine libanese – ha dato con efficacia all’evento improbabile che ci coglie impreparati. Finché l’Europa non scoprì l’Australia, tutti i cigni erano solo bianchi.
Anzi, il gioco d’azzardo è un’operazione finanziaria 'in sé', non dispone di progetto industriale di economia reale 'sottostante', e paga gli effetti della pandemia da Covid-19 e del conseguente blocco. Non tanto per una temporanea interruzione di proventi, ma per un nuovo scenario, che si può riassumere così. Si è arrestata la progressione del consumo (di denaro e di tempo di vita: è dalla combinazione di entrambi che si forma la base per la dipendenza patologica). Questa sopravvenienza storica manda in scacco un modello di business che dalla metà degli anni 90 a oggi contava sull’ampliamento continuo del popolo dei giocatori, affinché i margini relativi decrescenti (cioè la quota trattenuta, dai concessionari e dallo Stato) qual si erano registrati costantemente nel ventennio passato venivano bilanciati da valori assoluti crescenti di raccolta. In pratica, ogni dodici mesi occorreva proseguire l’aumento consistente della raccolta di puntate: per poter raggiungere il margine operativo lordo del profitto (Mol) pari o superiore a quello risultato a consuntivo della gestione annuale precedente.
La struttura del business del gioco industriale d’azzardo di massa ha così puntato, fin dall’inizio della crescita, alla realizzazione di un sistema di finanza derivata dal sottostante ' servizio di gambling', tanto di quello distribuito su supporto fisico quanto dell’altra gamma su piattaforma digitale. Si può ricordare che già nella seconda metà degli anni 90 Lottomatica lanciò i 'Lotto bond'; che agli inizi del primo decennio di questo secolo la Consob iscrisse la Snai nella black list delle società con eccesso di indebitamento; che nel 2014 Sisal si quotò in Borsa, ma l’offerta venne ritirata appena si analizzarono i dati del prospetto depositato, in quanto esponevano un peso eccessivo dell’indebitamento; che nel 2014 le società del Gruppo De Agostini acquisirono la statunitense Igt per 4,7 miliardi di dollari; che altre operazioni poco conosciute sono proseguite. Il business inizialmente a due stadi si è evoluto in tre stadi: a) vendita al venditore, cioè alla filiera dei gestori; b) espansione del consumo coinvolgendo ogni profilo di popolazione; c) collocazione di titoli, o quotati in Borsa o come obbligazioni. La conseguenza era già visibile negli anni passati via via che si gonfiava una bolla coinvolgente il sistema dei servizi bancari dei vari gruppi delle istituzioni creditizie. La punta dell’iceberg apparve nel 2017, quando i Bond di Novomatic furono acquistati dalla Bce (a quanto si sa, è indicato per un ammontare di 125 milioni di euro nell’ambito del quantitative easing).
Si verificò dunque il paradosso che il prestatore (gli Stati dell’area dell’euro) divenne contemporaneamente un debitore, pur fornendo esso le risorse finanziarie al venditore, per poi acquistare da questo soggetto. E ora? Il 'gioco a perdere' per lo Stato diviene visibile (purché i numeri siano diffusi e a disposizione del Parlamento) e con esso diventa chiaro come le 'tasse sui vizi' causano perdite sistemiche allo Stato, sottraendogli parte cospicua delle entrate da consumi 'a filiera lunga'. Davanti infatti alla recessione che colpisce i settori dell’economia reale (industria, servizi reali destinati alla vendita, agricoltura, commercio, cultura) questi ultimi possono riprendere a realizzare dei margini con un ciclo espansivo che imposti una catena coordinata del valore moltiplicato positivamente, cioè con un 'delta' di ricchezza reale generata dal relativo business cycle. L’economia dell’azzardo è invece costruita su una mega macchina sociale che 'estrae valore' e non genera ricchezza.