Qualcuno descrive quella tra governo populista, partner europei, risparmiatori italiani e istituzioni finanziarie estere come una partita a poker; con giocatori astuti che bluffano, tenendo ben coperte le loro carte e lasciando noi spettatori con il fiato sospeso fino all’ultima mano. Non sembra una metafora azzeccata. Perché non tutti i giocatori sono così astuti e perché tutti stanno giocando a carte scoperte legandosi platealmente le mani per le mosse successive. Usando una metafora, la situazione attuale assomiglia a una palla di neve che, rotolando dal pendio, finisce per generare la valanga. Ecco, la palla è già stata messa in moto qualche settimana fa e le mosse che ne sono discese e che ne discenderanno nei prossimi mesi sono sostanzialmente prevedibili. I giocatori stanno giocando secondo un copione già scritto, il cui finale, terrificante, sembra inevitabile.
Qual è questo copione? Il 23 Ottobre, la Commissione Ue ha bocciato la cosiddetta «manovra del popolo». La bocciatura sancisce definitivamente che la strada intrapresa dal Governo sul fronte economico è un vicolo senza uscita: non c’è un’istituzione burocratica (Fmi, Bce, Banca d’Italia, Ufficio parlamentare di bilancio, agenzie di rating eccetera) né un’istituzione politica (Commissione europea, Francia, Germania, altri Paesi dell’Unione simpatizzanti populisti, eccetera) che abbia preso le difese di questa manovra. Di fronte a questa bocciatura senza appello il Governo italiano ha reagito battendo le scarpe sui tavoli e confermando che andrà avanti per la sua strada. Reazione prevista e prevedibile: cosa aspettarsi di diverso da un Governo populista che ha fatto della retorica anti Ue la sua bandiera? Potremmo dire che non aspettavano altro per fare il muso duro con la Ue.
Tra tre settimane dunque, quando l’Italia dovrebbe presentare una nuova manovra sostanzialmente collocata dentro i parametri europei, è quasi certo che verrà ripresentata nuovamente la «manovra del popolo» o una sua variante. Ed è prevedibile che la Commissione a sua volta non si muoverà di un millimetro e avvierà la procedura di infrazione che avrà delle immediate conseguenze reputazionali. Chi punta su un ammorbidimento della posizione europea si sbaglia. D’altronde, perché la Commissione dovrebbe ammorbidire il suo giudizio? Fare sconti all’Italia oggi, in questo modo, vorrebbe dire incentivare l’azzardo morale sui conti pubblici per tutti gli altri Paesi membri. Significa anche dare ragione politicamente ai populisti sovranisti italiani, e quindi implicitamente favorirne la vittoria alle prossime Europee.
Se le cose dovessero andare così, la bocciatura della manovra e lo scontro con la Commissione avranno l’effetto di accelererare inevitabilmente la fuga dei capitali già in atto. Non solo stranieri in fuga dall’Italia; gli italiani stessi, almeno quelli che si possono organizzare, saranno i primi a voler mettere al riparo i propri risparmi. Anche il peggioramento del giudizio sul debito da parte di tutte le agenzie di rating è dietro l’angolo. È cosa nota che da qui al prossimo anno dovranno essere rifinanziati almeno 350 miliardi di debito pubblico. Chi lo comprerà? Non la Banca centrale europea (Bce), che si avvia a chiudere il programma di acquisto dei titoli sul mercato secondario (il famoso Quantitative Easing) e non lo terrà certo aperto per dare ossigeno a un Paese riottoso al rispetto dei parametri di bilancio come l’Italia – la Bce potrebbe persino smettere prima di acquistare i titoli, se nel frattempo dovesse arrivare un ulteriore declassamento da parte delle agenzie di rating. Non gli investitori privati, che sono già in fuga e non torneranno di certo a comperare debito italiano. Non lo faranno nemmeno le banche italiane, che già oggi portano in pancia una quantità pericolosamente elevata dei nostri titoli di Stato. Sarà la Russia a comperare i nostri titoli? È di questi giorni la notizia di una visita del primo ministro Conte a Mosca, presumibilmente per chiedere aiuto sull’acquisto di debito pubblico italiano. Ricordiamoci che la Russia, per quanto sia una superpotenza sul piano militare, dal punto di vista economico è più piccola dell’Italia (il Pil nominale è inferiore). L’idea che la Russia sia interessata o anche semplicemente possa salvare l’Italia da un eventuale default è ridicola.
Tanti venditori che vogliono liberarsi dei titoli di Stato e pochi compratori interessati ad acquistarli determinano il calo del valore dei titoli già in atto e destinato solo a peggiorare. Le banche italiane con tanto debito pubblico in pancia ne soffrono già ora perché per ragioni contabili devono immediatamente svalutare il valore di questi titoli. Ma per poter mantenere le banche aperte e operative, queste devono rispettare dei requisiti patrimoniali; a breve, diversi istituti dovranno andare di nuovo sul mercato per ricapitalizzarsi e dovranno restringere il credito a famiglie e imprese; questo sarà uno dei primi meccanismi attraverso cui la crisi dei conti pubblici si trasmetterà all’economia reale.
Ma torniamo al debito pubblico. A fronte dello scenario descritto, è possibile che una delle aste del prossimo anno vada deserta. Magari la situazione verrà tamponata nell’immediato, ma il default sul debito è dietro l’angolo: senza compratori di nuovo debito non si ripaga il vecchio debito. Cosa succede in caso di default? La procedura messa in piedi dopo il 2011 prevede l’intervento del cosiddetto Fondo salva-Stati europeo (Esm). Ammesso e non concesso che l’Esm abbia fondi sufficienti per finanziare il debito italiano, il Fondo interverrà solo con pesanti condizionalità: in sostanza vorrà che le riforme e le leggi finanziarie vengano scritte direttamente a Bruxelles o a Francoforte. È pensabile che il governo populista accetti una tale condizione? Ovviamente no. Anzi sarà altra benzina sul fuoco populista sovranista.
Se davvero l’Italia smette di onorare il debito, cosa succede? I risparmiatori privati che posseggono titoli di Stato vedrebbero i loro risparmi fortemente compromessi. Nell’ipotesi più estrema persino completamente svaniti. Le banche italiane andrebbero in grossissima difficoltà, molte dovrebbero a loro volta dichiarare fallimento. Soprattutto a causa delle pesantissime restrizioni al credito che ne conseguirebbero le ripercussioni sull’economia reale del Paese sarebbero devastanti. I debitori esteri, attraverso gli Stati che li rappresentano, metterebbero l’Italia in una condizione da paria internazionale. E qui ci vogliamo fermare perché lo scenario mette i brividi.
C’è un’alternativa al default? Certo, è il famoso 'piano B' di Savona, Borghi e Bagnai, da attuare possibilmente prima che le aste vadano deserte. Il 'piano B' prevede che, riappropriandosi della tanto agognata sovranità monetaria, lo Stato possa mettersi a stampare moneta per poter ripagare il debito già esistente nel frattempo ridenominato in lire e per poter finanziare nuova spesa, magari per finanziare il reddito di cittadinanza e le pensioni e qualche altro sogno elettorale. Stampare moneta senza limiti sembra essere il sogno dei populisti sovranisti che però dimenticano che stampare un’enorme quantità di moneta genera inflazione e svalutazione del potere di acquisto dei salari e questo, tra le altre cose, finisce con il bruciare i risparmi e la ricchezza delle famiglie, anche quella non investita in titoli di Stato.
Non dimentichiamoci inoltre che, secondo i trattati Europei, è prevista solo una procedura di uscita dall’Unione, quella che sta sperimentando la Gran Bretagna. Non ne esiste alcuna per uscire dall’euro e quindi si può uscire dall’euro solo uscendo dall’Unione. Se quindi già l’idea di uscire dall’euro è sufficientemente inquietante, quella di una vera e propria Italexit assomiglia a un vero inferno. Una nota finale per aggiungere beffa al danno: la regia politica che guida il nostro Paese verso questi scenari sembra riporre molta fiducia in una vittoria del fronte populista sovranista alle elezioni europee del 2019. Sono in molti a condividere questo scenario, ma non si capisce quale calcolo politico stia facendo il governo italiano. Più sovranisti nelle istituzioni europee chiederanno ancora meno tolleranza per chi non rispetta le regole e per chi pensa di far pagare ad altri popoli i propri debiti. A ben vedere, Merkel, Junker e Macron sembrano essere i meno peggiori tra i potenziali alleati in Europa di Salvini e Di Maio.
Non ci spingiamo oltre nel delineare scenari. Ci sembra però di poter dire che la palla di neve si è già messa a rotolare dal pendio e che, a questo punto, ci vorrà un grosso sforzo di fantasia per cercare di fermarla. Lo sforzo sarà enorme perché ci siamo già legati le mani sulle possibili soluzioni. Escludiamo che nel 2019 possa tornare un Governo dei professori come quello che letteralmente salvò l’Italia dal default nel 2011. Escludiamo che l’Europa intervenga accettando la violazione sistematica delle regole di bilancio da parte dell’Italia e facendo intervenire il Fondo salva stati senza delle condizionali pesanti. A parte un’improbabile svolta autoritaria anti-sovranista, che sembra già a scriverla un ossimoro, cosa rimane da fare per evitare l’uscita dell’Italia dall’Euro e dal consesso europeo?
Professore di Economia pubblica, Lumsa*