Caro direttore,
settant’anni fa le donne italiane dettero un contributo importante per la liberazione dell’Italia dal fascismo e alla scrittura della nostra Carta costituzionale. Insieme agli altri sindacati, lo ricorderanno oggi, alla vigilia della celebrazione del 2 giugno, in una iniziativa in cui rifletteremo sul clima di quei giorni del 1946, riaffermando la necessità di rigenerare gli spazi di cittadinanza politica, sociale ed economica nel nostro Paese. Il riconoscimento dei diritti politici delle donne costituì uno degli elementi fondativi della nostra Repubblica.
Non è un caso che l’art. 37 della Costituzione cita: «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore». Un principio fondamentale che ha guidato l’azione di tante donne impegnate nel sindacato e nelle associazioni che si sono battute in questi anni per una pari dignità tra uomini e donne in tutte le espressioni della vita politica, economica e sociale italiana. Sono tante le conquiste che abbiamo ottenuto in favore delle donne. Ma, purtroppo, la strada da percorrere è ancora lunga. C’è ancora uno scarto, tra l’occupazione maschile e quella femminile, di oltre venti punti percentuali.
E proprio l’insufficiente lavoro delle donne è il dato che pesa maggiormente sul tasso di occupazione nazionale, ancora uno dei più bassi sul piano europeo. Non è un caso se anche in fatto di natalità il nostro Paese è agli ultimi posti in Europa: nel 2015 sono nati soltanto 488 mila bambini, 15 mila in meno rispetto al 2014. Una donna su 3 lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Sono ancora poche le madri con un bambino che lavorano rispetto al resto dell’Europa (57,8% contro 63,4%) e, soprattutto, se paragonate agli uomini (86%). Quando poi i bambini crescono i numeri crollano al 35,5% (la media Ue è del 45,6%). In molti casi la rinuncia alla maternità va collegata direttamente anche all’inadeguatezza di servizi a sostegno della genitorialità.
In Italia solo il 18% dei bambini trova posto negli asili nido pubblici, mancano politiche finalizzate alla conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, come avviene in altri paesi europei che sono molto più avanti di noi nella conciliazione tra casa, famiglia e vita professionale. Eppure in Italia ci sono più donne laureate che uomini (155 donne ogni 100 uomini), ma la percentuale di donne disoccupate o precarie è più alta rispetto alla percentuale di uomini. Un fatto inaccettabile. Anche sulle retribuzioni la situazione non è delle migliori: gli ultimi dati del 2015 parlano di un 7,3% di salario in meno per le donne, un peggioramento visto che nel 2008 era al 4,9%.
Non è solo un problema di leggi da far rispettare. Dobbiamo fare di più con la contrattazione nazionale, aziendale e nei territori, ponendo le condizioni per una valorizzazione e una specificità del lavoro femminile. Anche le norme attuali sulle pensioni vanno cambiate urgentemente perché costituiscono una grave penalizzazione per le donne, che in moltissime attività non possono rimanere al lavoro fino a 65-67 anni e occuparsi anche della propria famiglia. La nostra non è una battaglia ideologica o di retroguardia. È una questione di civiltà, che abbiamo posto anche nei consessi internazionali e nei Paesi dove la donna è sfruttata, emarginata e tenuta lontana da ogni processo di sviluppo e di integrazione. Per non parlare della violenza e degli abusi nei confronti delle donne che spesso si consumano in silenzio, dentro e fuori le mura domestiche.
Ecco perché speriamo che la ricorrenza di questo 2 giugno possa diventare anche l’opportunità per discutere seriamente del ruolo della donna nella società italiana, della maternità, di nuove politiche per la famiglia come hanno più volte sottolineato papa Francesco e il nostro presidente della Repubblica, Mattarella. Non bastano gli annunci del Governo. Occorre unire politiche del lavoro, di sostegno familiare e di conciliazione tra cura della famiglia e lavoro. Non è vero che il lavoro delle donne va a scapito della famiglia. È vero semmai il contrario: il lavoro è lo strumento principale per l’emancipazione della donna, il lavoro permette concretamente la formazione della famiglia e quindi la maternità.
Il problema famiglialavoro deve essere affrontato nella consapevolezza che si tratta di un investimento per lo sviluppo del nostro Paese e non di un costo per la società. Solo così potremo disegnare nuovi orizzonti di crescita e celebrare il ruolo straordinario delle donne in una società sempre più multietnica.
*Segretaria generale della Cisl