È stato un messaggio di pace e un invito alla concordia da parte di un leader religioso mondiale a una regione che come poche altre al mondo ha bisogno di pace e concordia il principale lascito di Benedetto XVI al Libano e all’intero Medio Oriente. Si è trattato di un seme di speranza affidato ai tanti uomini di buona volontà che ci sono tra cristiani, ebrei e musulmani che sarebbe illusorio pensare possa germogliare dall’oggi al domani. E infatti, in maniera quasi paradigmatica, non son dovute passare nemmeno 24 ore dalla partenza del Pontefice da Beirut perché il leader degli sciiti libanesi, Nashrallah, scendesse in piazza per invitare tutti i musulmani – sciiti e sunniti – a vendicare l’affronto che il Profeta avrebbe subito a causa di un filmetto tanto cretino e insignificante quanto blasfemo.Era lo stesso Nashrallah che aveva reso omaggio al Papa appena poche ore prima, nella sua veste di capo spirituale degli sciiti che ora apostrofava le folle come leader del movimento politico di Hezbollah, rendendo così plasticamente visibile quanto sia pericolosa la commistione tra politica e religione. Una miscela esplosiva, quella tra politica e religione, alla quale la terra di Benedetto XVI ha pagato un prezzo tremendo, finendo spopolata dalla sanguinosa guerra dei Trent’anni, che nella prima metà del Seicento rappresentò l’ultima, più tremenda fase delle guerre civili di religione che avevano a lungo sconvolto l’Europa. Bisognerà aspettare le guerre mondiali del Novecento per trovare conflitti più devastanti...Il Papa tedesco porta anche questa consapevolezza nella sua storia, che è poi la storia che ha reso noi quello che siamo: occidentali. Ma che ha reso anche la Chiesa stessa universale nel suo messaggio e nei suoi valori, ma occidentale nelle sue prassi e nelle sue istituzioni. È illusorio credere che la stessa strada così proficua per la Chiesa e l’Occidente sia percorribile tal quale in altre regioni del mondo. Proprio il Libano offre uno spaccato in sedicesimo di come la definizione delle stesse comunità passi per la declinazione politica delle appartenenze religiose. Con i 15 anni di guerra civile che tra il 1975 e il 1990 hanno squassato il Paese dei Cedri, essa ammonisce della oggettiva pericolosità di questa relazione. Ma allo stesso tempo attesta come proprio l’auto-organizzazione politica delle comunità religiose abbia consentito alla presenza cristiana nell’antica terra dei fenici di non ridursi alla mera testimonianza o di non dipendere dal favore del satrapo di turno: un’opzione quest’ultima, forzata quanto si vuole, ma che in Iraq è stata pagata al prezzo che conosciamo e che anche in Siria potrebbe rivelarsi altrettanto disastrosa.Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi e per il semplice fatto che il mondo islamico e arabo stia conoscendo da almeno trent’anni a questa parte una continua, crescente ondata di politicizzazione della dimensione religiosa, il più delle volte coincidente con una sua radicalizzazione, non lascia spazio a molte illusioni che il futuro immediato possa prevedere una forma di convivenza fondata su dimensioni che possano inglobare le differenti credenze, come quelle nazionali. Anzi. Le differenze religiose si stanno rivelando in grado di prevalere, lacerandole, sulle fragili costruzioni nazionali post-coloniali: si tratti dell’Iraq o della Siria. Quando si tratta di affermare la supremazia sciita o sunnita, le offese al Profeta passano in secondo piano.Quello che finora ha tenuto il Libano fuori da questa dinamica micidiale è stata proprio la presenza cristiana, che rende impossibile la resa dei conti tra le due versioni maggioritarie dell’islam, che ogni volta che vengono politicizzate divengono irrimediabilmente ostili e reciprocamente intolleranti. E la presenza cristiana, con i suoi numeri ancora significativi, ha finora impedito a Nashrallah di andare allo show-down con i sunniti, in sostegno dell’amico e protettore Assad e dell’Iran che foraggia entrambi. Difficile dire fino a quando il verde Libano riuscirà a non essere travolto dalla grande guerra civile di religione islamica (tra sciiti e sunniti). Quel che è certo è che l’appello di Nahrallah non contribuisce certo a rasserenare un clima già teso, ma sembra piuttosto strumentale al suo disegno egemonico sul Paese.