martedì 2 agosto 2016
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Sono passati vent’anni. Il primo di agosto del 1996 il vescovo di Orano, in Algeria, veniva assassinato. Pierre Clavérie e l’amico Mohamed Bouchikhi vennero uccisi dall’esplosione di una bomba all’ingresso della residenza del vescovo. Sono passati vent’anni da allora e le cose, non solo nel Maghreb, non sono affatto migliorate per i cristiani.  Immaginiamo per un attimo che a Niamey, o altrove nel Paese, un imam fosse stato ucciso da un cristiano con o senza grida di sfida. Immaginiamolo soltanto, perché con ogni probabilità chi scrive queste parole non sarebbe più vivo o sarebbe sotto buona scorta, come già accaduto in un recente passato. Poco più di un anno fa, dopo il famoso ritorno in edicola di 'Charlie Hebdo', hanno bruciato una settantina di chiese, e a Zinder e Niamey, ci sono stati una decina di morti. Nessun responsabile è stato identificato fino ad oggi, nessuna marcia di appoggio è stata indetta, e nessun musulmano si è presentato in chiesa per solidarietà e fraternità… Paese che vai gente che trovi…In effetti qui, e nel Maghreb, non mi risulta che funzioni nessun comitato di condanna di atti 'cristianofobi'. Ecco perché i venti anni dal martirio di Pierre Clavérie e dei sette monaci di Tibhrine, accaduto qualche mese prima, e di altri ancora, rimane essenziale come una parola scritta con la vita. A condizione di farne memoria, una memoria sovversiva. E soprattutto nel saper discernere quanto rimane del messaggio, dopo aver eliminato il messaggero. Anzitutto il messaggio dello spazio vitale, del vivere insieme…«Mantenere uno spazio che non sia monopolizzato da una religione, una cultura o un tipo di ideologia», Clavérie l’affermava in un discorso del 1993. Uno spazio che solo il dialogo, il suo maître mot, può offrire. Il dialogo che si pone come ineludibile cammino di incontro con Dio e con l’altro. Lo ricordava il giorno inaugurale del suo servizio alla diocesi di Oran il 9 ottobre del 1981… «Il dialogo è un’opera sempre in costruzione: lui solo ci permette di di disarmare il fanatismo, in noi e nell’altro. Tramite lui siamo chiamati a esprimere la nostra fede nell’amore di Dio che avrà l’ultima parola sulle forze della divisione e della morte». Un dialogo, sostiene Clavérie, che non è irenico esercizio o semplice ricerca delle… «basi comuni, trappola narcisistica di ogni dialogo che cerca di negare o evitare l’alterità», col rischio di «non costruire nulla sulla menzogna, la paura di non piacere e le mezze-verità»… come sosteneva Christian de Chergé, il priore dei monaci uccisi a Tibhrine.Un Occidente arrogante, che paga quanto in tutti questi anni ha seminato. Guerre, occupazioni, armi, politiche economiche inique e colonialismo culturale. Un islam che, nella forma salafista jihadista, ha potuto impunemente prosperare nelle monarchie del Golfo e in particolare in Arabia Saudita. Com’è innegabile che l’antico antisemitismo dei Paesi della cristianità ha costituito l’humus di quanto sarebbe accaduto coi nazisti, così il fenomeno del terrorismo a matrice islamica l’humus lo trova nel salafismo armato.Ricreare spazi liberi di incontro, rinsaldare i vincoli sociali spezzati dal capitalismo selvaggio di questi ultimi trent’anni e ostinarsi nel cammino del dialogo della vita sono alcune delle eredità che il vescovo di Orano ci ha lasciato. Il più importante, comunque, sta tutto nel suo martirio per fedeltà al popolo algerino che riteneva vittima, proprio come lui, delle forze della divisione e dei servi della morte.Niamey, 31 luglio 2016
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