Una delle critiche più ricorrenti alla manovra 2017 riguarda l’esiguità della spending review e dei conseguenti risparmi di spesa pubblica a essa collegati. L’assunzione implicita in queste critiche è che la revisione e il taglio della spesa pubblica possano avere un ruolo decisivo nella crescita e nella sostenibilità dei conti dello Stato . Ma queste due proposizioni sono tutt’altro che fondate. Il Pil è dato infatti dalla somma di consumi privati, spesa pubblica, investimenti e saldo della bilancia commerciale (esportazioni meno importazioni).
La riduzione della spesa pubblica dunque di per sé riduce il Pil in misura uno a uno. Peccato che per un rapporto debito/Pil superiore al 100% ridurre per un ammontare di pari entità il numeratore e il denominatore aumenti di per sé il rapporto debito/Pil. Si dirà però che, sempre in misura uno ad uno, la spending review migliora i conti pubblici e che, se alla riduzione di spesa corrisponde una pari riduzione di tasse (nel qual caso i benefici diretti sulla finanza pubblica però evaporano), la manovra è in grado di apportare un contributo positivo alla crescita (tecnicamente si tratta di un moltiplicatore di bilancio in pareggio alla rovescia).
In realtà i dati del secondo trimestre recentemente resi disponibili dall’Istat suggeriscono piuttosto il contrario: gli italiani hanno visto un significativo aumento del reddito disponibile che ha prodotto un aumento della propensione al risparmio con consumi e investimenti sostanzialmente stagnanti. In condizioni come queste di "trappola della liquidità" sia per gli investimenti che per i consumi privati la riduzione della spesa pubblica accompagnata da una riduzione delle imposte sui redditi appare dunque poco efficace.
La via giustamente preferita dal governo è un’altra. Se dobbiamo ridurre le tasse lo facciamo preferenzialmente come premio per nuovi investimenti (o al limite nuovi consumi) e solo condizionatamente a essi. È questa la logica degli incentivi alla digitalizzazione nel progetto Industria 4.0, del bonus insegnanti (rimborso per buoni spesa), del superammortamento (detrazioni fiscali molto significative sui nuovi investimenti) e dell’ecobonus (robuste detrazioni fiscali sulle ristrutturazioni edilizie anche con obiettivo di far emergere parte del sommerso).
Tornando alla revisione della spesa, se l’impatto sulla crescita appare alquanto dubbio, quello sul benessere può esserlo ancora di più con sorprese controintuitive per la politica. I cittadini giudicano i governi non in base allo zerovirgola in più del Pil, ma guardando alla variazione effettiva delle loro condizioni di vita che includono in modo cruciale accesso a beni e servizi pubblici essenziali come scuola e sanità. Il rischio della spending review è dunque quello di tagliare non "spese inutili" (che pur sempre vanno a finire nel Pil) ma carne viva. Da questo punto di vista l’ottica della riqualificazione della spesa è molto più opportuna di quella dei tagli.
Nel settore della sanità, ad esempio, la riduzione degli sprechi sotto forma di prezzi difformi nell’acquisto di materiale sanitario grazie anche alla riforma delle centrali appaltanti nonché l’aumento dell’utilizzo dei farmaci generici meno costosi, ma equivalenti nel trattamento, dovrebbero urgentemente mettere a disposizione risorse da reinvestire nel settore sanitario stesso per alimentare il fondo che garantisce un accesso equo ai medicinali innovativi (come gli immuno-oncologici) in grado oggi di allungare la vita dei pazienti. Un altro passo in avanti decisivo in ottica di bene comune raggiungibile attraverso la rimodulazione della spesa possiamo realizzarlo stimolando opportunamente investimenti e innovazione nella sostenibilità ambientale.È possibile realizzare quest’obiettivo con un mix di divieti fissati a partire di un congruo numero di anni a venire (come avviene già oggi per motori e caldaie inquinanti), di rimodulazione dell’Iva e di aumento delle informazioni a disposizione dei cittadini e del loro 'voto col portafoglio' per le imprese più sostenibili. Sul secondo fronte sono i prodotti che nascono dal riuso e dal riciclo e gli investimenti in efficientamento energetico che dovrebbero avere aliquote più basse. L’essenziale è invisibile agli occhi ci ricorda un famoso aforisma de 'Il Piccolo Principe'. L’essenziale oggi invece possiamo e dobbiamo iniziare a misurarlo per orientare le scelte delle politiche di bilancio.