Simone Farina è (era) un calciatore di Serie B. Nessuno in verità lo ricorda come tale, ma solo perchè nel dicembre 2011 rinunciò a 200mila euro per truccare una partita, denunciando il tentativo di corruzione alla magistratura e i nomi di chi tentò di organizzare la tresca. La vita però, può svoltare in un minuto. Nel suo caso ci sono voluti pochi mesi, ma il senso del rovescio è lo stesso. Perché Simone Farina, 30 anni, due figli, difensore di ruolo e attaccante di fatto, è andato a dormire con la patente di eroe sotto il cuscino. E si è svegliato disoccupato. I fatti sono di questi giorni. Il Gubbio, società nella quale Farina giocava dal 2007, non gli ha rinnovato il contratto. “Risoluzione consensuale”, si dice in questi casi, un modo per dirsi addio senza rancore. Situazioni già viste, comuni a molte persone che perdono il lavoro. Farina, semmai, è un privilegiato. Primo perché finora ha giocato a calcio e non è invecchiato in una miniera del Sulcis. E secondo perché un altro lavoro l’avrebbe pure trovato subito. In Inghilterra, dove è stato soprannominato “Mister Clean”, l’uomo pulito. O se volete, colui che ha fatto pulizia. Un appellativo non particolarmente gradevole, e certamente esagerato. Anche perché in realtà Farina ha solo fatto ciò che ogni normale cittadino dovrebbe fare: cioè denunciare un reato quando ne viene a conoscenza. Resta il fatto che, forte di questa “patente”, l’Aston Villa, club inglese dal passato prestigioso e dal presente decoroso, a Simone Farina ora avrebbe offerto un ruolo da dirigente, per insegnare i principi del fair play ai calciatori delle squadre giovanili. Demagogia? Voglia di stupire con figure nuove e politicamente corrette? Chissà. Il problema è che il nostro piccolo eroe involontario ora non sa che fare. Perché lui nella vita ha sempre ragionato con il pallone tra i piedi. E vorrebbe continuare a giocare. Per fare altro, forse, non è attrezzato. E nemmeno ne ha voglia. È arrossito quando l’hanno eletto cittadino esemplare, è parso davvero imbarazzato quando ha dovuto ricevere premi, rispondere ad una convocazione in Nazionale (finta e solo simbolica, ovviamente), o farsi immortalare come un essere sovrumano. Bene, bravo, giusto così. Ma per lui, e per tutti noi, è stato un po’ come ammettere che i comportamenti onesti rappresentano l’eccezione. Che andrebbe premiato allora anche il marciatore che non si dopa, il barista che batte tutti gli scontrini dovuti, l’impiegato che non si mette in malattia per andare a fare la spesa, o la banca che presta soldi a chi lo merita. Simone Farina oggi invece vorrebbe probabilmente solo continuare a fare il calciatore. Essere un giocatore onesto dovrebbe rappresentare un valore aggiunto, ma non smettere di essere un giocatore resta il requisito fondamentale. A 30 anni, anche senza un passato sfolgorante alle spalle, né doti da fuoriclasse, una tranquilla carriera nei campionati minori non si nega a nessuno. O quasi. A meno che, e qui il sospetto diventa lancinante, proprio il fatto di chiamarsi Simone Farina non diventi il problema. E che quello che ha detto, e quello che ha fatto, si trasformi in un incredibile autogol. Escluso perché scomodo? Speriamo di no. Noi, professionisti del pensar male, speriamo di poter dire di esserci sbagliati. E che questa sera, alla chiusura del calciomercato, una squadretta in cui continuare a fare il suo mestiere Simone Farina la trovi. Ce ne sono tante, troppe nel nostro pallone bulimico, per pensare che nessuna riesca a ricordarsi di lui. Non è promozione questa, solo bisogno di scacciare un tristissimo sospetto.