sabato 7 dicembre 2024
Costruito dopo il Concilio di Efeso del 431, voluto dal popolo, il tempio dedicato alla maternità divina di Maria è il centro della celebrazione del Natale nella Città Eterna
La basilica di Santa Maria Maggiore: cuore di Roma, culla dell’Occidente

IMAGOECONOMICA

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Chi oggi vi arriva difficilmente proverà l’emozione di quei primi pellegrini che salendo le pendici dell’Esquilino, il più alto dei colli romani, la vedevano svettare lassù in cima, nel cuore di Roma: la Betlemme d’Occidente, Santa Maria Maggiore, il più antico santuario mariano della Città Eterna e dell’intero Occidente.

Costruita subito dopo il Concilio di Efeso – che nel 431 aveva definito la divina maternità di Maria – fu donata da papa Sisto III (432-440) al popolo di Dio: Xystus episcopo plebi dei. La scritta campeggia sull’arco trionfale all’interno della Basilica e testimonia la diretta partecipazione del Vescovo di Roma al primo e maggiore tempio mariano. A differenza di quanto fino ad allora era accaduto, infatti, l’iniziativa di costruire un edificio di culto non era nata dagli imperatori ma direttamente dal popolo che, sollecitato dal Papa, aveva generosamente partecipato alla sua costruzione. Un legame che diventa vincolo nella secolare tradizione della Chiesa di Roma.

Sisto III, per esaltare la Madre di Dio, Theotokos, volle anche riprodurre in questa basilica la Grotta di Betlemme, nella quale la Vergine diede alla luce il Salvatore del mondo e dove fin dai primi secoli si venerava quella mangiatoia (praesepe) in cui Gesù emise i primi vagiti. Si trattava di una cappella costruita e adornata da frammenti di pietra e mosaico provenienti alla Grotta della natività che, secondo le fonti, i pellegrini avrebbero portato dalla Terra Santa. La Camera praesepi o Oratorium aveva un proprio altare e si trovava, secondo le informazioni fornite dal Liber Pontificalis, probabilmente sotto il presbiterio.

Per secoli l’Oratorio è stato il cuore di Santa Maria Maggiore. Qui i papi san Leone Magno (440-461) e san Gregorio Magno (590-604) tennero le omelie più importanti sul Mistero dell’Incarnazione e il sacro sacello divenne particolarmente caro ai pontefici. E dovette essere abbastanza grande se il Vescovo di Roma poteva celebrarvi a Natale la messa solenne.

Nel Registro epistolarum di Gregorio Magno è riportato che il santo Pontefice vi celebrava la prima messa della notte di Natale. Dal V secolo in poi la celebrazione della nascita di Gesù ebbe in questo sacro luogo il suo centro privilegiato. Così già nel VII secolo, la Basilica dedicata alla Madre di Dio Santa Dei Genitrici Eccxlesiam, insieme alla denominazione di Sancta Maria Maior, veniva comunemente detta ad Praesepe. Il titolo di Sancta Maria ad Praesepe venne per la prima volta usato dal Liber Pontificalis nella biografia di papa Teodoro (642-649) e ripreso nelle successive biografie dei pontefici. Vi è pure menzionata l’antica cappella con il nome di Oratorium sanctum o Camera Praesepi. Sappiamo inoltre che le memorie legate all’infanzia di Gesù furono fin dai primi secoli custodite nella Grotta della Natività a Betlemme e la loro presenza in quella Grotta risulta accertata fino al VII secolo. Ma come giunsero poi a Roma?

Nel 653 i saraceni stringono d’assedio Gerusalemme. Fino a quel momento era tradizione che i patriarchi della città celebrassero il Natale nella Grotta di Betlemme, ma nel 636 al patriarca Sofronio è impedito a causa dell’assedio. Secondo la tradizione, avallata da alcuni studiosi, si deve dunque a papa Teodoro, che manteneva strette relazioni con la sua patria di origine, il trasferimento delle memorie della nascita del Figlio di Dio nella Basilica romana dedicata a Maria, che da quel momento acquistò a tutti gli effetti il nome di Santa Maria ad Praesepe e a pieno titolo la “Betlemme di Roma”, come per primo la definì lo storico Hartmann Grisar.

A partire dal secolo VIII i pontefici fecero a gara nell’arricchire con doni preziosi il luogo destinato a custodire le memorie dell’infanzia di Gesù. Gregorio III (734-741), difensore del dogma contro l’imperatore d’Oriente Leone II Isaurico e gli iconoclasti, dona all’Oratorio una Madonna d’oro tempestata di gemme preziose. Adriano I (772-795) lo abbellisce con nuovi doni e nel 783 vi conduce Carlo Magno. Nel corso dei secoli il luogo diverrà caro più di ogni altro al clero e al popolo romano. Tanto che nel 867, Adriano II (867-872), appena eletto papa, non volendo accettare la dignità pontificale per l’età avanzata e la salute malferma, fu preso e condotto di peso dal popolo alla Cappella del presepe davanti alla Madre di Dio.

La Cappella del presepe era il luogo privilegiato delle cerimonie liturgiche nelle festività natalizie. Il papa, dopo aver celebrato la prima messa nella notte di Natale in questo Oratorium all’alba si recava alla chiesa di Sant’Anastasia, alle falde del Palatino, per celebrarvi la seconda messa. Poi ritornava in processione a Santa Maria Maggiore, entrava nella Basilica e accendeva fuochi di stoppa pendenti dalle colonne per ricordare ai fedeli la seconda venuta di Cristo alla fine del mondo. E prima di dare inizio alla terza messa di Natale il clero e il popolo lo acclamavano, secondo l’uso dei greci, con versi auguranti vita e salute. Finita la messa teneva l’omelia. Questa consuetudine rimase immutata per secoli. San Pio V (1566-1572), che qui ha voluto essere sepolto, vi assisteva spesso al divino Officio e vi celebrava la messa. La notte di Natale, riprendendo la tradizione, il santo pontefice entrava a piedi nudi come un umile pastore dalla sagrestia della Basilica, e, nell’Officio non si cantava, presente il Papa, l’invitatorio, quasi a significare che il Divino Infante col suo vagito invitava da se i fedeli nell’umile presepe di Betlemme ad adorarlo.

Qui Ignazio di Loyola nel 1538 volle celebrare la sua prima messa. Qui, nel luogo che rendeva presente il Mistero dell’Incarnazione, veniva spesso a inginocchiarsi san Filippo Neri e san Gaetano da Thiene, nella notte del Natale del 1517, ebbe l’apparizione miracolosa del Bambino Gesù.

Ma l’Oratorium fu anche teatro di episodi drammatici, come gli attentati contro i papi san Martino I (649-665) e san Gregorio VII (1073-1085). Papa Martino, che morì martire in esilio dopo patimenti per essersi opposto al volere dell’imperatore Bisanzio Costante II e aver combattuto l’eresia monoteista, fu vittima di un attentato nel 653. L’imperatore aveva inviato a Roma un certo Olimpo, alto dignitario di corte, con l’ordine di uccidere il Papa. La notte di Natale mentre Martino celebrava la messa nella Cappella del presepe, lo spataro Olimpo, nascosto nella folla dei fedeli, avrebbe dovuto compiere il delitto nel momento in cui avrebbe ricevuto la comunione. Il Liber Pontificalis così commenta l’episodio: «Ma Dio che è solito proteggere i suoi servi ortodossi e strapparli da ogni male accecò lo spataro Olimpo e non gli fu possibile vedere il Pontefice». Un altro sacrilego affronto fu compiuto nella Notte di Natale del 1075, contro san Gregorio VII. Il Liber Pontificalis narra che il Pontefice al terzo anno di regno, nella notte della Natività, mentre spezzava il pane consacrato sull’altare, fu assalito e condotto via con la forza da un certo Cencio di Stefano. Cencio era secretarius imperii e pare sia stato spinto contro il Pontefice da altissimi personaggi avversari del Papa nelle controversie che agitavano allora la Chiesa e l’Impero. Ma i romani, trovato il luogo dove Cencio aveva rinchiuso il Papa, lo liberarono e lo ricondussero nella Basilica dove il santo Pontefice potè celebrare la terza messa di Natale.

Tra le memorie delle cerimonie liturgiche di Santa Maria Maggiore conservate dai canonici della Basilica, viene ricordata anche la processione guidata nel 1521 da Leone X (1513-1521). Sotto il suo pontificato si consumò lo scisma di Lutero, che Leone X condannò con la famosa bolla Exsurge Domine del 1520. In questo grave momento i romani lo videro uscire dal Vaticano in pieno inverno a piedi scalzi e così percorrere le strade fino alla Basilica per chiedere aiuto e conforto a Maria.

Un imponente intervento nella Cappella del presepe avvenne ad opera di Niccolò IV (1288-1292), il primo francescano salito al Soglio di Pietro, il quale, dopo la prima rappresentazione dal vivo della natività fatta a Greggio da san Francesco d’Assisi nel Natale del 1223, fece scolpire una rappresentazione destinata a dare rinnovato risalto alle reliquie della mangiatoia di Betlemme. Ne fu incaricato il grande scultore toscano Arnolfo di Cambio che la portò a termine tra il 1290 e il 1292. È il più antico presepe scolpito che la storia ricordi. Lo scultore concepì la rappresentazione in una nicchia rettangolare come una vera e propria casa in muratura, con una porta per la quale entravano i Magi, colti nell’attimo in cui varcano la soglia. La statua di san Giuseppe in piedi con le mani incrociate appoggiate sul bastone, guardava verso il primo dei re mangi, inginocchiato davanti al Bambino, che doveva trovarsi un po’ sollevato da terra accanto a Sua madre, distesa in posizione di puerpera. La scena della natività era concepita in modo da creare un coinvolgimento dello spettatore. I personaggi lasciano trasparire nei gesti e negli sguardi una straordinaria intensità e stupore.

Oggi del presepe di Arnolfo di Cambio, i cui resti sono oggi conservati in una teca di vetro all’inizio della navata di sinistra, è rimasto poco. Anche le statue del Bambino e dalla Madonna sono andate distrutte e sostituite con opere cinquecentesche. Mentre le reliquie della culla, scampate al saccheggio del 1527, per altre due volte corsero il rischio di andare distrutte. Una prima volta nel 1798, quando le truppe francesi facendo irruzione nella Basilica depredarono i tesori in essa contenuti. E una seconda volta nel 1848, quando in seguito alla proclamazione della Repubblica romana si tentò nuovamente di trafugarle. Non è dato sapere con certezza se questi legni siano veramente quelli in cui Gesù venne deposto. Ma è provato che quelle asticelle furono il sostegno di una culla di terracotta in uso in Palestina all’epoca di Gesù. Dagli esami è risultato che appartengono all’epoca di Cristo e che si tratta di un legno di acero rosso di quei luoghi. Con la definizione del dogma dell’Immacolata Concezione del 1854 Pio IX promosse il culto per le reliquie della Cunabula Salvatoris, che collocò definitivamente nella cripta sotto l’altare maggiore, dove ancora oggi si trovano.

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