C’è un orologio elettronico nella piazza centrale di Cracovia che scandisce da mesi il conto alla rovescia per la seconda Gmg in terra polacca (la prima fu Czestochowa, 1991). Oggi, vigilia della Domenica delle Palme, cioè della Giornata mondiale della Gioventù che ogni anno si celebra su base diocesana, sono esattamente 129 giorni e qualche manciata di ore. Il tempo, in effetti, non è mai stato una variabile indipendente nella storia delle Gmg. Ha accompagnato, anzi, con un rapporto insieme dialogico e dialettico, tutta la loro evoluzione, nell’arco ormai ultratrentennale che va dalla loro nascita, alla metà degli anni ’80, fino ad oggi. A ripercorrerla infatti a volo d’uccello, quella storia, ciò che immediatamente balza agli occhi è la predominante continuità di fondo (ciò che si potrebbe definire, appunto, come la parte dialogica del rapporto con la contemporaneità) pur nella progressiva 'discontinuità' (o se si vuole dialettica) segnata dal mutare dei tempi, delle situazioni e degli stessi pontificati. È indubbio, infatti, che Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco abbiano approcciato i giovani con tre stili diversi. E che gli stessi giovani di oggi siano sociologicamente molto differenti da quelli di trent’anni fa.
Tre generazioni si sono finora avvicendate sulla scena delle Giornate. La prima, quella che Giovanni Paolo II chiamò a raccolta sfidando l’incredulità di molti, si era formata sulla scia del ’68 ed era 'imbevuta' di marxismo. La seconda invece era nata mentre cadeva il muro di Berlino, dunque era sicuramente più attenta alla dimensione spirituale, ma anche più esposta alle insidie del materialismo pratico, dell’agnosticismo e del relativismo, non a caso definito proprio da Ratzinger «una dittatura». La terza, infine, quella che si raccoglie intorno a Francesco, è la «generazione digitale», capace di abitare con la stessa disinvoltura mondo reale e mondo virtuale, ma talvolta incline a smarrirne i confini (come alcuni casi di cronaca drammaticamente testimoniano). Sono dunque discontinuità non di poco conto. Eppure quando si pensa alla categoria Giornata mondiale della Gioventù, nessuna di queste metamorfosi riesce a scalfire il dato preponderante della continuità, o meglio di una storia che continua e, pur tra molti elementi di evoluzione, non cessa di essere feconda.
Qual è il motivo di questa capacità di adattamento alla variabile tempo? Il segreto principale sta nella impostazione di fondo che già Giovanni Paolo II riassumeva così: «Tutti i giovani devono sentirsi seguiti dalla Chiesa. Perciò tutta la Chiesa, in unione con il Successore di Pietro, si deve sentire maggiormente impegnata, a livello mondiale, a favore della gioventù, delle sue ansie e delle sue sollecitudini, delle sue aperture e speranze, per corrispondere alle sue attese, comunicando la certezza che è Cristo, la verità che è Cristo, l’amore che è Cristo, mediante una appropriata formazione». Ritroviamo in questa parole, ha scritto il cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, «il nucleo originario del progetto pastorale delle Gmg». Quel progetto che ancora oggi, come fa notare don Michele Falabretti, direttore del Servizio nazionale di pastorale giovanile della Cei, si articola in una «forte esperienza di Chiesa universale, un incontro attorno alla croce di Cristo e al Papa e nella condivisione con moltissimi giovani provenienti da ogni parte del mondo».
In controluce non è possibile non individuare in queste espressioni gli elementi portanti di ogni Gmg: le catechesi (che nella forma attuale di tre incontri con i vescovi delle rispettive nazioni si sono andate enucleando tra Santiago 1989 e Czestochowa 1991), la via crucis, la veglia e la Messa finale con il relativo mandato missionario (presenti fin dalle primissime edizioni). Dal medesimo grembo nascono anche le progressive articolazioni del programma come ad esempio lo specifico spazio per le confessioni (da Roma 2000), il Festival della gioventù (cioè le iniziative culturali, già presenti in forma spontanea a Buenos Aires 1987 e Santiago 1989, e in maniera organizzata da Parigi 1997), la Mostra artistica in collaborazione con i Musei Vaticani (una sorta di quarta 'catechesi' visiva, da Denver 1993 in poi) e l’adorazione eucaristica (da Colonia 2005). Senza dimenticare il pellegrinaggio, come è avvenuto a Roma 2000 per varcare la Porta Santa di San Pietro, a Colonia 2005 avendo come meta la tomba dei Re Magi nel maestoso Duomo gotico e come avverrà nuovamente a Cracovia, dove i giovani si recheranno al santuario della Divina Misericordia di santa Faustina Kowalska e al vicino santuario di san Giovanni Paolo II 'Non abbiate paura'.
Viene da pensare a un unico prezioso spartito, interpretato in maniera diversa, ma ugualmente intensa, da grandi direttori d’orchestra (i Papi) e validissimi interpreti (i vescovi, i sacerdoti, soprattutto gli stessi giovani). E quell’unico spartito delle Gmg ha come note dominanti lo sguardo puntato su Cristo, la formazione e soprattutto la missionarietà. Ricordava qualche anno fa monsignor Renato Boccardo, attuale arcivescovo di Spoleto-Norcia (ma all’epoca in forza al Pontificio Consiglio per i laici): «Anche quando si parla di cinque milioni di presenze, come a Manila, si tratta sempre di una minoranza di giovani. Non possiamo cullarci nei numeri e nei bagni di folla. La dimensione missionaria ci deve spingere a pensare con insistenza a tutti 'gli altri', quelli cioè che non sono venuti, e a quanto dobbiamo fare per loro, con urgenza, fantasia e impegno».
Ecco, in ultima analisi si può misurare con il metro unificatore della «dimensione missionaria» anche il diverso stile dei tre Papi della Gmg. Giovanni Paolo II ha aperto la strada: «Con i giovani si può e si deve parlare di Cristo». Benedetto XVI ha continuato a percorrerla con coraggio, spingendosi letteralmente fino agli estremi confini della Terra (si pensi al viaggio a Sydney, il più lungo del suo pontificato). E Francesco pure ha raccolto con convinzione il testimone dei suoi predecessori, come dimostra l’itinerario ricalcato sulle Beatitudini con cui li sta accompagnando da Rio de Janeiro 2013 a Cracovia 2016. Se oggi le singole Gmg non sono più semplici eventi staccati, ma momenti forti sempre più pienamente inseriti in cammino di Chiesa e di pastorale giovanile, se è cresciuta l’intensità del loro clima spirituale (fondamentale è stata da questo punto di vista l’introduzione dell’adorazione eucaristica nella Veglia) lo si deve al progressivo maturare di quel rapporto che abbiamo definito dialogico e dialettico insieme rispetto al passare del tempo.
Con Francesco e la Gmg di Cracovia (anzi, potremmo dire con l’anno, questo 2016, delle 'due Gmg', calcolando anche l’ormai prossimo Giubileo dei ragazzi, dal 23 al 25 aprile) si è aperta una terza fase della storia delle Giornate mondiali. E se i numeri non accennano a diminuire, anzi (è notizia di ieri che sono già oltre 90mila in rappresentanza di 170 diocesi gli italiani iscritti), è ancora una volta il binomio continuità-innovazione a venire in primo piano. «Papa Bergoglio – afferma don Falabretti – tiene insieme diversi registri. È, infatti, allo stesso tempo capace di 'consegnarsi' interamente a un incontro gioioso con i ragazzi (si rivedano a questo proposito le immagini di Copacabana) e di immettere nella Gmg la dinamica degli esercizi spirituali, cioè di un incontro così profondo con Cristo da cambiarti la vita. Soprattutto però – aggiunge il responsabile della pastorale giovanile italiana – mi sembra che la sua novità consista nel rivolgersi anche agli educatori. Ai quali in sostanza dà i compiti a casa. 'Tra una Gmg e l’altra non lasciate soli i giovani. State loro accanto sempre'». E intanto l’orologio di Cracovia continua a mangiare secondi. La storia della Gmg continua.