Dell’anziano monsignor Koto, vescovo emerito di Mohale’s Hoek nel Lesotho, uno dei 17 nuovi cardinali annunciati domenica da papa Francesco in vista del prossimo concistoro, a stento si è riusciti a trovare una foto in Rete, per non parlare di pagine Facebook o account Twitter. Al suo attivo ha "solamente" sessant’anni di ministero vissuto a tu per tu con la gente, nella sua profonda Africa. Si trova ora in compagnia dell’arcivescovo di Indianapolis e di quello di Madrid, accanto al nunzio in Siria insieme ad altri di diversi continenti e a quattro vescovi che vivono il loro ministero in Paesi dove da sempre i cattolici sono minoranza e descriverli come "periferia" è persino troppo generoso.
Del resto la Chiesa non è di tutto il mondo e questo Collegio non è forse universale? Ma per la Chiesa tutto il mondo è periferia, perché ognuno «è decentrato se considera al centro Cristo stesso». Non è quindi questione di appartenere a diocesi di fascia A o fascia B. Non conta la forza del numero né il prestigio né la rilevanza mediatica. E il cardinalato neppure è un premio che faccia del Collegio cardinalizio un circolo riservato di premiati. Il cardinalato – aveva già detto Francesco nella lettera inviata ai porporati creati nello scorso concistoro – «non significa una promozione né un onore né una decorazione; semplicemente, è un servizio che esige di ampliare lo sguardo e allargare il cuore».
«Dite – aveva aggiunto – "Siamo servi inutili"…», "non utili" cioè a interessi personali, ma fatti servi secondo la logica di Cristo e della sua Chiesa. Che non è quella mondana: «Non si insinui lo spirito di mondanità che stordisce più della grappa a digiuno, disorienta e separa dalla croce di Cristo». Non è la logica del dominio, del potere secondo i criteri umani, ma la logica del chinarsi per lavare i piedi, la logica del servizio, la logica della Croce che è alla base di ogni esercizio dell’autorità. In ogni tempo la Chiesa è impegnata a conformarsi a questa logica e a testimoniarla per far trasparire la vera «Signoria di Dio», quella dell’amore.
«È la logica di vita che Gesù testimonia, quella logica che – secondo il Maestro – deve caratterizzare il discepolo, nel suo spirito e nelle sue azioni», aveva detto Benedetto XVI nel suo ultimo concistoro. Francesco ha così sbaragliato ancora una volta le logiche mondane e gli schemi di logiche politiche preconfezionate impastate ora di slogan abusati. Con la sua scelta dei nuovi porporati ha voluto inviare ancora una volta messaggi forti e facili da decifrare, in piena consonanza con le parole e lo sguardo sulla Chiesa espresso nel magistero quotidiano. Da Papua Nuova Guinea a Chicago, il Papa bada alla sostanza che fa gli autentici ecclesiastici. Da Bangui a Indianapolis, dal Nord al Sud del mondo, Francesco guarda alla sostanza della Chiesa che sta nel mondo.
Non per perseguire un progetto personale e non perché si esprima un modo di essere Chiesa secondo una determinata sensibilità, ma perché in questa logica è il modo di essere Chiesa: quella che vive non di luce propria, ma del riflesso della luce di Cristo, come il mysterium lunae descritto dagli antichi Padri. Papa Bergoglio sa distinguere tra consuetudine ecclesiastica e Tradizione e sa che non c’è nessuna diocesi al mondo che sia cardinalizia per statuto divino o per definizione di diritto canonico. Così potrà restringersi la rosa di arcivescovi diocesani persuasi di dover ricevere ex officio, presto o tardi, la berretta cardinalizia.
Già con il primo concistoro, Francesco aveva scardinato l’automatismo che collega la guida di alcune diocesi al cardinalato, disarmando la eventuale frenesia di singoli o di cordate ecclesiastiche per garantire l’accesso nel Collegio cardinalizio. E aveva stigmatizzato quella "perversione clericale" che suddivide le diocesi in classi di prestigio. Quella concezione mondana per cui ci sono diocesi "di fascia bassa", dove diventare vescovi equivarrebbe a una diminutio o, addirittura, a una punizione.Dovunque si trovi un vescovo, sia a Roma o a Gubbio, poco importa, egli ha sempre lo stesso merito e l’identico sacerdozio », dice san Girolamo. Dal punto di vista sacramentale, il vescovo di qualche sperduta isola del Pacifico è rivestito della pienezza del sacerdozio come il cardinale arcivescovo di Milano e quello di Parigi. La Chiesa della Papua Guinea o del Lesotho non è inferiore a quella di Indianapolis o di Chicago. Tutti i loro vescovi in questo sono uguali servitori, e sono chiamati a servire il popolo di Dio con la stessa sollecitudine dimentica di sé. Papa Francesco cerca di suggerirlo anche con questo concistoro. La Chiesa di Cristo funziona così.