martedì 11 ottobre 2016
Dell’anziano monsignor Koto, vescovo emerito di Mohale’s Hoek nel Lesotho, uno dei 17 nuovi cardinali annunciati domenica da papa Francesco in vista del prossimo concistoro. (Stefania Falasca)
Simoni, dalla tortura alla porpora
I nuovi cardinali al servizio, in tutta la Terra
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Dell’anziano monsignor Koto, vescovo emerito di Mohale’s Hoek nel Lesotho, uno dei 17 nuovi cardinali annunciati domenica da papa Francesco in vista del prossimo concistoro, a stento si è riusciti a trovare una foto in Rete, per non parlare di pagine Facebook o account Twitter. Al suo attivo ha "solamente" sessant’anni di ministero vissuto a tu per tu con la gente, nella sua profonda Africa. Si trova ora in compagnia dell’arcivescovo di Indianapolis e di quello di Madrid, accanto al nunzio in Siria insieme ad altri di diversi continenti e a quattro vescovi che vivono il loro ministero in Paesi dove da sempre i cattolici sono minoranza e descriverli come "periferia" è persino troppo generoso.

Del resto la Chiesa non è di tutto il mondo e questo Collegio non è forse universale? Ma per la Chiesa tutto il mondo è periferia, perché ognuno «è decentrato se considera al centro Cristo stesso». Non è quindi questione di appartenere a diocesi di fascia A o fascia B. Non conta la forza del numero né il prestigio né la rilevanza mediatica. E il cardinalato neppure è un premio che faccia del Collegio cardinalizio un circolo riservato di premiati. Il cardinalato – aveva già detto Francesco nella lettera inviata ai porporati creati nello scorso concistoro – «non significa una promozione né un onore né una decorazione; semplicemente, è un servizio che esige di ampliare lo sguardo e allargare il cuore».

«Dite – aveva aggiunto – "Siamo servi inutili"…», "non utili" cioè a interessi personali, ma fatti servi secondo la logica di Cristo e della sua Chiesa. Che non è quella mondana: «Non si insinui lo spirito di mondanità che stordisce più della grappa a digiuno, disorienta e separa dalla croce di Cristo». Non è la logica del dominio, del potere secondo i criteri umani, ma la logica del chinarsi per lavare i piedi, la logica del servizio, la logica della Croce che è alla base di ogni esercizio dell’autorità. In ogni tempo la Chiesa è impegnata a conformarsi a questa logica e a testimoniarla per far trasparire la vera «Signoria di Dio», quella dell’amore.

«È la logica di vita che Gesù testimonia, quella logica che – secondo il Maestro – deve caratterizzare il discepolo, nel suo spirito e nelle sue azioni», aveva detto Benedetto XVI nel suo ultimo concistoro. Francesco ha così sbaragliato ancora una volta le logiche mondane e gli schemi di logiche politiche preconfezionate impastate ora di slogan abusati. Con la sua scelta dei nuovi porporati ha voluto inviare ancora una volta messaggi forti e facili da decifrare, in piena consonanza con le parole e lo sguardo sulla Chiesa espresso nel magistero quotidiano. Da Papua Nuova Guinea a Chicago, il Papa bada alla sostanza che fa gli autentici ecclesiastici. Da Bangui a Indianapolis, dal Nord al Sud del mondo, Francesco guarda alla sostanza della Chiesa che sta nel mondo.

Non per perseguire un progetto personale e non perché si esprima un modo di essere Chiesa secondo una determinata sensibilità, ma perché in questa logica è il modo di essere Chiesa: quella che vive non di luce propria, ma del riflesso della luce di Cristo, come il mysterium lunae descritto dagli antichi Padri. Papa Bergoglio sa distinguere tra consuetudine ecclesiastica e Tradizione e sa che non c’è nessuna diocesi al mondo che sia cardinalizia per statuto divino o per definizione di diritto canonico. Così potrà restringersi la rosa di arcivescovi diocesani persuasi di dover ricevere ex officio, presto o tardi, la berretta cardinalizia.

Già con il primo concistoro, Francesco aveva scardinato l’automatismo che collega la guida di alcune diocesi al cardinalato, disarmando la eventuale frenesia di singoli o di cordate ecclesiastiche per garantire l’accesso nel Collegio cardinalizio. E aveva stigmatizzato quella "perversione clericale" che suddivide le diocesi in classi di prestigio. Quella concezione mondana per cui ci sono diocesi "di fascia bassa", dove diventare vescovi equivarrebbe a una diminutio o, addirittura, a una punizione.Dovunque si trovi un vescovo, sia a Roma o a Gubbio, poco importa, egli ha sempre lo stesso merito e l’identico sacerdozio », dice san Girolamo. Dal punto di vista sacramentale, il vescovo di qualche sperduta isola del Pacifico è rivestito della pienezza del sacerdozio come il cardinale arcivescovo di Milano e quello di Parigi. La Chiesa della Papua Guinea o del Lesotho non è inferiore a quella di Indianapolis o di Chicago. Tutti i loro vescovi in questo sono uguali servitori, e sono chiamati a servire il popolo di Dio con la stessa sollecitudine dimentica di sé. Papa Francesco cerca di suggerirlo anche con questo concistoro. La Chiesa di Cristo funziona così.

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