I barbari attacchi di Bruxelles hanno nuovamente confermato a tutti una cosa che era già evidente da diversi anni: la sicurezza sul territorio europeo non può più essere data per scontata. In particolare, esistono minacce mobili e transnazionali – portate in molti casi da cittadini europei convertiti a un folle estremismo – che penetrano nel ventre molle delle nostre città con facilità disarmante. Il legame tra chi ha portato gli attacchi di Bruxelles e gli attentatori di Parigi del novembre scorso ne è un esempio.La fuga e la copertura tra Francia e Belgio di Salah Abdeslam hanno evidenziato da un lato la facilità di mobilità degli estremisti e allo stesso tempo dato la possibilità a molti osservatori di insistere sulle inefficienze degli investigatori e più in generale sull’assenza di comunicazione ed efficace cooperazione tra i servizi di intelligence e le polizie dei diversi Paesi. Di fronte alla minaccia terroristica, sicuramente una più stretta cooperazione tra le forze di polizia è auspicabile, ma questo comunque non può bastare. L’intero impianto istituzionale di sicurezza deve arricchirsi di una dimensione europea. Nel dibattito in corso bisogna avere il coraggio e la determinazione di recuperare uno spirito genuinamente europeo e sostituire quindi alla parola cooperazione le parole 'integrazione' e 'istituzione'. Il termine cooperazione indica infatti una serie di azioni operate da soggetti comunque diversi che si ritrovano in accordo nella realizzazione di un fine. Noi europei, invece, abbiamo la necessità di superare la fase della cooperazione e di lavorare per integrare i nostri apparati di sicurezza, istituendo o rafforzando agenzie europee antiterrorismo che affianchino quelle dei singoli Paesi membri. A queste, però, devono essere assegnati gli strumenti adeguati in termini di risorse finanziarie e capitale umano.L’Agenzia Europol, creata nel 2009 per contribuire alla lotta contro il terrorismo interno e la criminalità organizzata, favorendo nel contempo il coordinamento tra le polizie, impiega ogni anno meno di 100 milioni di euro. Una cifra irrisoria se consideriamo che solo in Italia nel bilancio 2014 abbiamo speso più di dieci miliardi di euro all’anno per ordine pubblico e sicurezza. Unitamente all’impiego di risorse finanziare, un processo istitutivo di questo tipo implica ulteriori cessioni di sovranità che molti non guardano di buon occhio, ma che comunque non sono più rinviabili se non a costo di una inevitabile frammentazione dell’Unione. Un eventuale fallimento dell’Unione Europea, peraltro, non aumenterebbe la nostra sicurezza. La consapevolezza che gli estremisti sono presenti in diversi Paesi, ma che soprattutto sono mobili e organizzati su base transnazionale, implica che anche qualora i singoli Paesi aumentassero le risorse destinate alla politiche nazionali di sicurezza interna, ciò non si tradurrebbe in una rimozione efficace della minaccia da questi rappresentata.Va da sé che qualsivoglia iniziativa di integrazione europea nel campo della sicurezza interna non può fare a meno di una convergenza di idonei strumenti normativi. Un primo ambito di convergenza, in particolare, dovrebbe essere quello sulle attività illegali che costituiscono canali illeciti di finanziamento per i gruppi jihadisti. Il mantenimento di una rete terroristica pronta all’azione e alla mobilità richiede, infatti, una discreta disponibilità finanziaria. Secondo un rapporto pubblicato nel 2015 dal
Norwegian Defence Research Establishment la seconda fonte di finanziamento per le reti terroristiche in Europa è costituita da traffici illegali di droghe e armi. Su questi temi è necessaria pertanto un’iniziativa europea per giungere a una legislazione comune che consenta un’azione più efficace nei confronti di cellule e gruppi terroristici ma anche di organizzazioni criminali transnazionali.In ultimo, la classe dirigente europea deve decidere se comportarsi con responsabilità e adottare una visione non provinciale discutendo seriamente di una politica di sicurezza comune. Tale decisione determinerà la nostra futura identità. L’integrazione europea appare da diversi anni ferma, ma gli attacchi di Bruxelles, nella loro tragicità, possono essere un’opportunità per compiere un significativo salto in avanti. Il rischio, altrimenti, è quello di ritrovarci a piangere nuovi morti, in un clima caratterizzato da polemiche sterili e retoriche, e di vederci ancora impegnati ad alimentare guerre in Paesi solo apparentemente lontani. Guerre che producono solo altra guerra, come l’esperienza degli ultimi 15 anni ha dimostrato definitivamente.