Sono anni che la comunicazione vaticana fa notizia. Trovarsi puntati i riflettori addosso non è mai stato il primo dei suoi obiettivi e va quindi considerato come una contraddizione della quale rendere conto. Le dimissioni nell’ultimo giorno dell’anno del direttore della Sala Stampa, Greg Burke, e della vice, la spagnola Paloma García Ovejero, con l’affidamento dell’incarico ad interim ad Alessandro Gisotti, hanno fatto parlare di bòtti di fine anno, o di ribaltoni, in un assetto che solo qualche settimana prima era stato modificato, non semplicemente ritoccato, dalla sostituzione del direttore dell’”Osservatore Romano”, Gian Maria Vian con Andrea Monda e dall’ingresso di Andrea Tornielli nella funzione–chiave di direttore editoriale del Dicastero della comunicazione.
E occorre tener conto che anche la fortemente innovativa nomina del laico Paolo Ruffini, dopo monsignor Dario Edoardo Viganò, alla guida del Dicastero stesso, come prefetto, risale a pochi mesi fa. Tutto nuovo, quindi, sulla scia di una riforma tra le più attese e, per alcuni aspetti, tra le più complesse di quelle in atto nel pontificato di Francesco. Tra gli elementi di complessità occorre prendere in esame la stretta coincidenza temporale tra le necessità di una trasformazione tecnologica di tutto l’assetto comunicativo, e la contemporanea uscita di scena, per limiti anagrafici, di una classe dirigente che aveva gestito l’ultima fase – quella dal Grande Giubileo del Duemila in poi – segnata da una serie di grandi eventi: lo stesso Giubileo, le grandi canonizzazioni, i conclavi delle elezioni di Benedetto XVI e Francesco, passando per la rinuncia di papa Benedetto, dal punto di vista mediatico, l’evento degli eventi.
Poco meno di vent'anni di un impegno a tutto campo, segnato da momenti di grande difficoltà: Vatileaks, l’insorgere già tumultuoso degli scandali sulla pedofilia, il processo per la fuga di documenti dalla Cosea (il braccio operativo del Consiglio di cardinali, il cosiddetto C9, per lo “studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede”) peraltro strettamente legato ai tentativi di una prima riorganizzazione dei media vaticani. Neppure va sottaciuto che il fuoco di fila di tali impegni non aveva impedito di compiere i primi, significativi passi avanti verso un assetto informativo segnato dalle nuove tecnologie. Gli insegnamenti di Benedetto XVI ancor prima di qualche atto concreto, come l’apertura dell’account tweet, avevano già fatto parlare di svolta, soprattutto in occasione del fondamentale Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazione del 2011, nel quale papa Ratzinger aveva focalizzato il quesito tutto nuovo di «un web capace di contribuire allo sviluppo di nuove e più complesse forme di coscienza intellettuale e spirituale, di consapevolezza condivisa».
Non solo trasmettere, ma condividere l’informazione. Era il via libera, su basi teologiche, a una nuova fase della comunicazione in Vaticano e ai tempi di internet. Dal portale news.va allo sviluppo di tutto il sistema digitale, l’anziano pontefice, che continuava a scrivere con la matita, apriva, in sostanza, anche al suo successore Francesco, le strade di una riforma considerata da tutti necessaria – e semmai con il rammarico di non averla potuta avviare prima. (Esistevano tutte le premesse per poterlo fare, ma i grandi eventi, dal Giubileo in poi, hanno comportato anche un clima di continua emergenza per tutti gli organismi – e tutti con organici neppure assimilabili a quelli di strutture esterne.) L’essenzialità di tali riferimenti appare indispensabile per capire meglio e valutare più a fondo i primi passi, e naturalmente anche le prime difficoltà, di una riforma chiamata, in sostanza, a delineare le forme e i modi della nuova comunicazione vaticana che prende una sorta di testimone storico da quella che ha segnato l’intero post Concilio fino a ieri.
Se si considerano le difficoltà in cui fu varato, dai padri Conciliari, il decreto Inter Mirifica, («Un decreto inutile e dannoso», secondo alcune definizioni del tempo...) tuttora riconosciuta come la magna carta della comunicazione ecclesiale, si comprendono meglio anche le incertezze di un processo appena avviato e di così grandi, inevitabili ambizioni. In maniera ancora più specifica, anche la nascita della stessa Sala Stampa – istituita per la decisa volontà di Paolo VI – si trovò già all’inizio a confrontarsi con problemi non dissimili dall’oggi, incardinata, com’era, all’interno di un Dicastero, quella Commissione per le Comunicazioni sociali nata ancor prima del Concilio e che, in seguito, da Giovanni Paolo II, fu trasformato in Pontificio Consiglio.
Appare del tutto evidente che proprio il ruolo della Sala Stampa sia stato al centro delle dimissioni di fine anno, come lo sarà, d’altra parte, negli assetti che si preparano. Seguire l’evoluzione dei media vaticani – e della variazione del loro assetto durante gli anni – resta una buona strada per continuare a raccogliere indicazioni utili anche per l’oggi. In maniera forse più eloquente che altrove, la storia, in Vaticano, non smette mai di parlare e di utilizzare i suoi documenti come prove magari coperte di polvere, ma inoppugnabili. A condizione però che lo sguardo sia rivolto seriamente al futuro e quindi all’attuazione di una riforma della quale, secondo il monito di papa Francesco, «non bisogna aver paura», poiché siamo in una fase in cui «non si tratta di imbiancare un po’ le cose».
I passi compiuti direttamente dal Papa sono andati proprio nella direzione di un cambiamento radicale, mettendo tuttavia in atto passaggi tradizionali, come quello della creazione di una prima commissione, guidata da Christopher Patten, dalla quale è scaturito il documento–guida di attuazione in cui è delineata l’architettura complessiva dei media vaticani, vecchi e nuovi. Non è senza significato il fatto che a gestire questa fase si trovi un vertice del tutto rinnovato, e il cui segno forte è quello di una professionalità esercitata a livelli alti e maturata all’esterno delle mura vaticane – seppure con il riferimento costante alle questioni di fede. Anche questa è, a suo modo, una sfida, o almeno un nuovo corso importante sulla via del rinnovamento dei media vaticani. Tutto il nuovo messo in campo appare, in sostanza, ancora più significativo dei diversi colpi a sorpresa – ribaltoni et similia – che sembrerebbero minare il terreno della riforma. I media vaticani si sono fortificati e non poco, durante il loro mai facile cammino. Mai come ora è tempo di guardare avanti. Con serenità e coraggio.