È di grande interesse per chi ami la fede pensata, o sia almeno incuriosito da essa, il discorso tenuto da papa Francesco il 9 dicembre scorso ai partecipanti al congresso internazionale sul futuro della teologia, organizzato a Roma dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione. Di grande bellezza è anzitutto l’immagine che il Vescovo di Roma ha scelto per riferirsi al lavoro teologico: «Quando penso alla teologia mi viene in mente la luce». Il motivo di questo collegamento è così spiegato dal Papa: la luce «è discreta, è gentile, è umile e, perciò, rimane invisibile. È gentile la luce. Così è anche la teologia: fa un lavoro nascosto e umile, perché emerga la luce di Cristo e del suo Vangelo». Da questa osservazione deriva una strada per chiunque voglia fare teologia: «Cercare la grazia e restare nella grazia dell’amicizia con Cristo, luce vera venuta in questo mondo. Ogni teologia nasce dall’amicizia con Cristo e dall’amore per i suoi fratelli, le sue sorelle, il suo mondo; questo mondo, drammatico e magnifico insieme, pieno di dolore, ma anche di commovente bellezza».
Il Papa ha quindi espresso un desiderio e un invito: il desiderio è «che la teologia aiuti a ripensare il pensiero… ». Per far questo, è necessario «guarire dalla semplificazione… che mutila la realtà, partorisce pensieri sterili, univoci, generando polarizzazioni e frammentazioni. Così fanno, ad esempio, le ideologie. L’ideologia è una semplificazione che uccide la realtà, uccide il pensiero, uccide la comunità. Un antidoto alla semplificazione è… far fermentare insieme la forma del pensiero teologico con quella degli altri saperi: la filosofia, la letteratura, le arti, la matematica, la fisica, la storia, le scienze giuridiche, politiche ed economiche… Essi sono come i sensi del corpo: ciascuno ha una sua specificità, ma hanno bisogno l’uno dell’altro… Contribuendo a ripensare il pensiero, la teologia ritornerà a brillare come merita, nella Chiesa e nelle culture, aiutando tutti e ciascuno nella ricerca della verità». Una teologia dialogica, dunque, è quella che auspica il Papa, aperta ad ascoltare l’altro, chiunque sia, a fargli spazio nella propria ricerca, ad assumerne le domande, senza trascurarne le provocazioni e le sfide. Lungi dall’essere un pensiero chiuso in sé stesso, malato di autoreferenzialità, la teologia è per sua natura un pensiero in ascolto, che dipendendo totalmente dall’auto-comunicazione di Dio è perciò radicalmente bisognoso di costruire ponti comunicativi che, a partire da quello realizzato dal Signore fra il tempo e l’eterno col Suo venire a noi, lancino messaggi di incontro a chiunque voglia mettersi seriamente in ricerca della Verità che libera e salva.
L’invito che ne consegue per papa Francesco è «che la teologia sia accessibile a tutti». Occorre adoperarsi perché donne e uomini in ricerca trovino in essa «una casa aperta, un luogo dove poter riprendere un cammino, dove poter cercare, trovare e cercare ancora». A tal fine è necessario immaginare cose nuove nei programmi di studio, al fine di rendere la teologia un esercizio e un nutrimento accessibile a tutti. Lungi dall’essere una sorta di “riserva di caccia” per soli specialisti, altezzosamente lontani dalle domande della povera gente e disinteressati a lasciarsi interrogare e provocare dagli altri, la teologia deve farsi ancella, serva del desiderio di luce che è nel cuore di tutti, amica di chiunque avverta la sete della verità e il bisogno di cercarla, incontrarla e farsene illuminare.
Una bellissima riflessione di Dietrich Bonhoeffer, il teologo evangelico morto martire della barbarie nazista, prende le distanze da ogni pigrizia del pensiero di chi crede, per stimolare precisamente a una ricerca teologica aperta e accessibile a tutti: «Le persone religiose parlano di Dio quando la coscienza umana è giunta al limite (talvolta per pigrizia di pensiero), oppure quando le forze umane vengono meno... ma questo sistema funziona solo finché gli uomini riescono con le loro energie a spingere più avanti i limiti e Dio diventa superfluo come deus ex machina... Io vorrei parlare di Dio non ai confini, ma nel centro, non nella debolezza, ma nella forza, non nella morte e nella colpa, ma nella vita e nella bontà dell’uomo... La chiesa non risiede là dove la capacità dell’uomo non ce la fa più, ai confini, ma in mezzo al villaggio» (Resistenza e resa, Milano 1969, 215 ss.).
Una teologia impegnata a ripensare il pensiero, facendosi critica di ogni chiusura ideologica, al tempo stesso disposta a offrirsi come fontana del villaggio, accessibile a ciascuno col proprio bagaglio di vita, di dolore, di speranza e di amore, sarà non solo una “docta fides”, ma anche e profondamente una “docta caritas”, un esercizio della carità portata all’idea. In tal senso, ormai non pochi anni fa, Petite Soeur Magdeleine, fondatrice delle Piccole Sorelle di Gesù, dichiarata venerabile nel 2021, mi accolse all’incontro di tantissime sue consorelle, provenienti da tutto il mondo, cui mi aveva invitato a parlare, con queste parole: «C’est à vous, théologiens, de faire parler la charité» - «Il vostro compito, teologi, è dare voce alla carità».
Mi sembra che proprio questo, più di tutto, sarà chiesto ai teologi perché la teologia abbia un futuro appassionante e fecondo.
Arcivescovo di Chieti-Vasto
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