Ci sono lettere che per scriverle non bastano una penna o il computer. Devi usare le lacrime, che sono l’inchiostro del cuore. Succede quando il dolore ti scoppia nel petto e il dovere della verità è più forte persino del pudore di farti vedere fragile. E allora passano in secondo piano titoli e ruoli.
Resti tu e le persone che aspettano una tua frase, una tua risposta. Davanti a loro, specie se vittime innocenti di violenza e colpevole indifferenza, non puoi mentire, devi essere trasparente. Te lo impongono i loro occhi e la tua coscienza. Non a caso nella risposta, diffusa ieri, di Benedetto XVI al dossier sugli abusi nell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga, i toni sembrano alzarsi solo una volta: quando il Papa emerito si dice «profondamente colpito» dal fatto che una svista sia stata usata per dubitare della sua veridicità o «addirittura» per presentarlo come un bugiardo. Il caso risale al 15 gennaio 1980 e alla partecipazione, prima negata e poi confermata, dell’allora arcivescovo Ratzinger a una riunione in cui si parlò di un sacerdote che il futuro Pontefice ignorava essere un abusatore.
Un’inconsapevolezza che però non attenua lo scandalo, la vergogna di cui si è macchiata la Chiesa.
La lettera del Papa emerito, infatti, arriva all’indomani dell’indagine che parla di 497 vittime di abusi sessuali nell’arcidiocesi bavarese tra il 1945 e il 2019, con 173 sacerdoti e 9 diaconi accusati di violenze. Il Papa emerito è tirato in ballo per 'errori' in quattro casi, smentiti punto per punto dal pool di canonisti cui è stata affidata la difesa nel merito. E davvero riesce impossibile pensare a un coinvolgimento, anche minimo, di chi, dalla vicenda Marcial Maciel alla Lettera ai cattolici d’Irlanda, si è sempre dimostrato durissimo contro gli autori di questi terribili delitti.
Perentorio nel chiedere pubblicamente perdono, umile nell’incontrare più volte le vittime, chiaro nel pretendere che la giustizia, anche dentro la Chiesa, tuteli innanzitutto gli abusati.
Eppure nella sua nuova lettera, il Papa emerito non rivendica quelle scelte. La sua è una riflessione profondamente umana, dal sapore penitenziale, come la confessione di peccato all’inizio della Messa. Un filo rosso che, ancora una volta, consegna il cuore alla vergogna, al dolore, e alla sincera domanda di perdono. «Ogni caso di abuso sessuale è terribile e irreparabile», sottolinea la lettera, evocando «la grandissima colpa» di cui ci si accusa battendosi il petto durante l’Eucaristia. Un rammarico per ogni singola vicenda, che diventa ancora più profondo nell’imminenza dell’incontro con il Padre, di fronte al quale non si può nascondere nulla, che ti obbliga alla verità.
Ma proprio la consapevolezza di essere anagraficamente vicino al capitolo finale della propria esistenza, dà alle parole di Benedetto un colore diverso. Trasforma la lettera in una riflessione di grandissima profondità, quasi un 'catechismo del cuore' se è lecita questa definizione. È come liberare gli occhi anche dal più piccolo velo che annebbia la realtà, come scendere nell’abisso di noi stessi per misurare la distanza che ci separa dal cielo, come ripassare a memoria il primo canto di lode imparato da piccoli. Più che da grande teologo e da Papa emerito, egli parla con la sapienza dell’anziano uomo di fede, che si avvicina all’ultimo giorno senza negare un po’ di legittimo «spavento e paura». L’animo però rimane «lieto» perché confida che il Signore «non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato». Poche frasi per spiegare cosa ci attende quando l’oggi e il domani diventeranno un eterno presente. E l’amore si sposerà con la giustizia. E ogni lacrima sarà asciugata.