venerdì 26 aprile 2013
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Ci vuole certamente una giusta quan­tità di rispetto per chi, in questa fase cruciale di trattative condotte dal presi­dente incaricato Enrico Letta, manifesta il suo disagio, più o meno acuto, davanti alla prospettiva di ritrovarsi sia pur tem­poraneamente alleato in Parlamento con il suo peggior “nemico”. Quel “nemico”, per altro, coltivato assiduamente in due decenni di battaglie all’arma bianca, dia­lettica e piazzaiola, a colpi di invettive de­monizzanti e di disprezzo impietoso. Quell’avversario in teoria irriducibile e tuttavia così spesso rivelatosi utile a ga­rantirsi spazi politici di sopravvivenza o rendite di posizione pseudoideologiche. Rispetto, dunque, ma entro limiti ben pre­cisi. Che poi sono quelli dettati ieri nuo­vamente da Giorgio Napolitano, quando da via Tasso, luogo simbolo della resi­stenza al nazifascismo, ha messo in rela­zione quei momenti tragici alle «giorna­te di un tempo di crisi» che stiamo viven­do. E ne ha tratto la triplice lezione da mettere in pratica per scongiurare quel­l’avvitamento istituzionale intravisto al momento di accettare il secondo man­dato: «coraggio, fermezza e senso dell’u­nità ».Se questa è la ricetta, la prima rilevante dose di coraggio è quella che occorre per ammettere che troppo a lungo si è insi­stito nel percorrere sentieri impervi o nel­l’imboccare vicoli ciechi. E anche se la modestia è una virtù poco praticata nel­l’era del bipolarismo armato (oggi per la verità un po’ in odore di decadenza), pri­ma di esercitarsi in raffiche di veti o in ul­timatum programmatici, sarebbe neces­saria un’attenta riflessione sui disastri che deriverebbero dall’ennesimo passo falso. In questi giorni si è poi molto discusso sulla capacità dei nuovi media di condi­zionare gli umori di vecchi e nuovi inqui­lini del Palazzo. E qualcuno si è spinto a teorizzare che d’ora in poi si dovrà siste­maticamente fare i conti con la “web de­mocracy”, indicata come nuova frontiera di un corretto rapporto fra cittadini e clas­se dirigente. Ma alla prova dei fatti è e­merso che l’incidenza degli umori messi in circolo da blog e tweet era inversa­mente proporzionale alla debolezza dei destinatari. Di qui il consiglio della fermezza, rivolto, sembra di capire, anzitutto a quanti, non molti giorni fa, salivano in fila al Quirina­le per scongiurare il presidente uscente di cavarli dall’impaccio. È semplicemen­te impensabile che la barra della già com­plicata maggioranza in attesa di varo ven­ga lasciata esposta ad aggiustamenti e­stemporanei, frutto di pressioni artata­mente gonfiate, mediante giochi di spec­chi informatici senza effettivo riscontro. Quanto al sentimento unitario, bastereb­be trarre ispirazione dalla circostanza ce­lebrativa, che ieri ha coinciso con la ma­ratona negoziale tra premier incaricato e forze rappresentate in Parlamento per la formazione del governo. Il capo dello Sta­to è tra gli ultimi a poter essere sospetta­to di tiepidezza nella difesa dei valori che il 25 aprile riassume e trasmette alle ge­nerazioni venute dopo la sua. Eppure non ha avuto esitazioni, nel discorso a Mon­tecitorio di lunedì scorso, a sottolineare «tassativamente la necessità di intese tra le forze diverse», richiamando l’espe­rienza di quasi tutti i Paesi europei, dove la disponibilità ad accordi tra protagoni­sti concorrenti e molto spesso contrap­posti, quando davvero necessaria per la gravità delle emergenze da affrontare, non viene mai temuta come «segno di regres­sione ».Non crediamo che qualcuno possa anco­ra esprimere dubbi sul livello di dram­maticità che la crisi italiana ha raggiunto. Non vogliamo pensare che ci sia ancora chi ritenga di poter lucrare vantaggi per­sonali o di parte da un ulteriore peggio­ramento dello scenario economico, so­ciale e istituzionale. Veramente, come ha ricordato di nuovo ieri il presidente della Cei Angelo Bagnasco, «non si può più a­spettare, la gente non può più attende­re ». E sì, ci vuol proprio rispetto, quello giusto.
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