Case donate dalla curia di Napoli, schiaffo che sveglia Napoli non conosce le mezze misure. Nel male ma, ancora più spesso, nel bene. Per queste due vie estreme passa tuttora la sua storia grande e tormentata, intorno alla quale continua ad attorcigliarsi il filo di una cronaca che non dà requie. Non c’è emergenza che qui non abbia messo le tende: Napoli è la patria di tutti gli eccessi. Chi la conosce sa che è difficile sfuggire a una realtà forgiata proprio dal confronto senza respiro, e a colpi bassi, tra i vizi e le virtù. Fu Benedetto Croce, la cui passione era proprio Napoli, a riesumare il dileggio medievale del «paradiso abitato da diavoli», per dar conto della misura del contrasto e della contrapposizione sulle quali, tuttavia, la città ritrova il suo pur precario equilibrio. La normalità passa lontano da orizzonti simili e, non a caso, non è neppure contemplata e tantomeno riconosciuta. Avviene così che quando il male dilaga e sembra invadere tutto il terreno, ecco profilarsi l’ostacolo imprevisto, che manda tutto all’aria. Il baratro è sempre stato a due passi, ma lì è poi rimasto: minaccioso, incombente, ancora a bocca vuota. Conoscere Napoli però non basta. Se alla città si vuol bene (e il bene ancora più forte che si dà a figli irrequieti e scapestrati) occorre anche altro: per esempio, la capacità di non accontentarsi dell’ordinario, di dare un senso forte e virile alla sfida contro i suoi tanti 'mali'. L’amore della Chiesa di Napoli per la sua città è antico e a prova di una vena di santità che mai si è esaurita. Ma il gesto del suo pastore di oggi, il cardinale Crescenzio Sepe che ha deciso di donare gli alloggi di proprietà della curia agli inquilini indigenti, apre un capitolo nuovo: è a suo modo una provocazione, lo
schiaffo che anche il bene sa dare quando è messo alle corde, e perciò ricorre a tutte le proprie risorse, una forza di dentro che mai viene a mancare. La Chiesa di Napoli non ha fatto fatica a essere se stessa. E quel gesto non vale solo come
via d’uscita, o mezzo di provvisorio contrasto agli innumerevoli problemi della città. Dietro non c’è la strategia di una pur apprezzabile economia virtuosa, bensì una Lettera pastorale, la terza nell’ambito di un «Giubileo per la città» che, qui, dà ora maggior forza al Giubileo straordinario della Misericordia indetto da papa Francesco.
Vestire gli ignudi. Avvolgerli di tenerezza e dignità è il titolo del documento di Sepe. Che c’entra con la nudità, verrebbe da dire, la donazione degli alloggi di curia? Anche il bene può avere i suoi abissi, nel senso di profondità, ed è questa che aiuta a capire come la nudità non è solo assenza di indumenti, ma carenza dei bisogni primari, come appunto la casa, mancanza di sostegno e protezione sociale soprattutto per gli ultimi della fila. Il bene, sì, ma insieme alla volontà di andarlo a cercare, alla fantasia di poterlo applicare, all’accortezza di non burocratizzare la carità e tenerla pronta per tutti gli usi. Anche sotto il profilo sociale e, per così, dire politico. Nella Lettera c’è una chiamata a raccolta di tutto i vescovi del Mezzogiorno per un’azione comune contro le emergenze che minano i tentativi di riscatto sociale della parte più povera del Paese. L’incontro avverrà in autunno. Non si tratterà, è stato precisato, di una sessione di studi. Le necessità e i bisogni sono sotto gli occhi di tutti. Non è più tempo di analisi, ma di concretezza. E se è Napoli a guidare il nuovo cammino, significa davvero che le opere di misericordia sono diventate i capisaldi della sua storia come 'storia della carità'. C’è la mano (e il cuore) di Francesco in questa Chiesa sempre
più in uscita e accanto, ma anche il legame vivo con Benedetto e, ripensando al Grande Giubileo del Duemila, e al ruolo che vi ebbe Sepe, la grande eredità di san Giovanni Paolo II, il Papa della «speranza di Napoli». La speranza è in buone mani.