Cattolici in politica: la testimonianza delle parole e quella dei fatti
martedì 18 ottobre 2022

Gentile direttore,
a proposito dell’elezione a presidente della Camera del leghista Lorenzo Fontana, delle sue prime dichiarazioni e delle polemiche che hanno preceduto e seguito quell’atto parlamentare, l’ex presidente della Provincia di Trento ed ex vicepresidente della Camera Dellai ha scritto nella lettera alla quale lei ha risposto sabato scorso, 15 ottobre, che le sue citazioni religiose sono state una presa di posizione altamente negativa, perché avrebbe contrapposto «trono e altare», perché il presidente della Camera deve essere super partes. Io credo che realmente dobbiamo impegnarci nella ricerca di un nuovo umanesimo che dichiari con i fatti, con le scelte concrete, la propria fede. Cioè in maniera laica. Ma credo anche che di fronte al “politicamente corretto” ci sia il dovere di esprimere pienamente il proprio credo, la testimonianza che siamo amati da Dio. Non mi piace il non distinguersi come testimoni di ciò in cui si crede di fronte a chi urla dalle finestre e dai balconi la propria negazione della vita, del bene, della pace non si può stare in silenzio. La sapienza nel valutare le cose e i fatti del mondo devono essere affrontati come luce sul moggio, come città sul monte, come le lucerne accese delle vergini che attendono lo sposo. Quindi condivido la necessità di un umanesimo nuovo e non sotterraneo, ma fatto alla luce del sole, concretizzato nella testimonianza dei fatti. Comunque, da credenti, chiediamo allo Spirito che ci doni la sua sapienza e che nei nostri errori faccia trasparire la sua luce.

Giampaolo Zapparoli Mantova


Apprezzo lo spirito della sua riflessione, gentile signor Zapparoli. Ma, in realtà, Lorenzo Dellai non ha scritto che sono negative in sé le citazioni fatte dal neopresidente della Camera Fontana, ha scritto di non aver condiviso la sua azione apolitica passata. E soprattutto ha commentato la dichiarazione di Matteo Salvini, leader del partito di Fontana, secondo la quale «non è certo una colpa essere cattolico», sottolineando che non era quello il punto, perché ci sono stati e ci sono «diversi modi di essere cattolici in politica». È a proposito degli effetti della secolarizzazione che Dellai ha poi contrapposto due tendenze, suggerendo una via diversa da entrambe: da una parte, una certa strumentale visione (soprattutto di destra) «trono e altare» , dall’altra una visione (soprattutto di sinistra) basata sul «mantra dei diritti individuali senza se e senza ma». Una riflessione interessante. Come la sua, dalla quale prendo una sottolineatura che – i lettori come lei lo sanno – mi è specialmente cara: la testimonianza cristiana – come del resto ogni altra testimonianza ispirata da ideali alti e solidi – è “coraggio delle parole”, ma è insieme “coerenza delle azioni”. Coerenti non perché siamo perfetti (no, non lo siamo), ma perché possiamo provarci aiutati dallo Spirito e dai modelli che, grazie a Dio, abbiamo. E perché è possibile e riconoscibile il famoso bene comune (che magari, alla fin fine, comincia col non fare sistematicamente a pezzetti il bene, per scegliersi il pezzetto più comodo da masticare...). A mio parere, poi, il primo realistico requisito del bene politicamente realizzabile è che esso sia fraterna espressione dell’amore cristiano, cioè – in termini laici – di una solidarietà libera, attiva ed efficace soprattutto per i più deboli e i meno garantiti.

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