Gentile direttore,il 18 ottobre 2016 sarà un giorno da ricordare come quello in cui in Italia sono tornati a nascere fondamentali Diritti dell’Uomo. E questo perché il Parlamento del nostro Paese ha approvato la nuova legge contro il caporalato. Evviva, la legge mi sembra ottima e prevede anche che le amministrazioni pubbliche siano direttamente coinvolte nella vigilanza e nella tutela delle condizioni di lavoro nel settore agricolo, attraverso un piano congiunto di interventi per l’accoglienza di tutti i lavoratori impegnati nelle attività stagionali. Questo significa che sino a ora, non essendoci la legge, vigili, amministrazioni comunali, regionali e forze dell’ordine erano autorizzate a non farsene carico? O mi sbaglio? Capisco, quindi, perché stiamo perdendo il buon senso, operiamo solo se lo prevede la legge, mentre se lo prevede il buon senso tutti possono fare finta di niente.
Enrico Reverberi
Non è che mancassero le norme, gentile signor Reverberi. È che le vecchie regole, contenute in leggi frutto di elaborazione nazionale o di trattati internazionali che abbiamo sottoscritto e fatto nostri, si sono rivelate sempre più tragicamente inadeguate per contrastare l’odiosa e mortificante pratica schiavistica del “caporalato” ai danni di tanti lavoratori e lavoratrici, italiani e immigrati, cittadini residenti e prestatori d’opera stagionali. Perciò serviva un impegnativo punto e a capo, e sono state definite e varate misure più “forti”, ovviamente perfettibili, ma che sembrano efficaci e perciò molto buone. Questa mia constatazione non cambia la sostanza del suo ragionamento. Nel Paese delle troppe leggi sembra sempre che manchi la regola decisiva. Lei la evoca, a suo modo, chiamandola “buon senso”. È prezioso il buon senso, ed è certamente senso del bene e del male. Però, stavolta, preferirei parlare di “retta coscienza”. È infatti una coscienza salda che sa riconoscere ciò che vale davvero, e non può essere messo tra parentesi o addirittura sotto i piedi. È una coscienza ben formata che ci accompagna e ci guida secondo giustizia nelle scelte quotidiane e in ogni impresa, e che ci impedisce di cercare un tornaconto solo personale, anche a costo di farsi beffe delle norme poste a presidio non solo e non tanto del “mercato”, ma soprattutto (e senza esclusioni) della dignità delle persone. Ci siamo battuti per anni, documentando e denunciando una realtà scandalosa, perché un pessimo stato di cose cambiasse. La presidente della Camera, Laura Boldrini, ha spiegato ieri nell’intervista resa al nostro giornale, che ora sono davvero «caduti gli alibi». Lo penso anch’io. E mi auguro, con la presidente e con lei, gentile lettore, che sia la volta buona.Lei, poi, se la prende anche con i poteri pubblici a lungo inerti per distrazione o calcolo. Purtroppo non è una polemica infondata, e lo dimostrano sia la storia impastata di sfruttamento, dolore e sangue che grava sulle spalle di “ultimi” che si è finto di non vedere, sia l’iter tormentato della nuova normativa. Non possiamo però dimenticare un nodo per nulla marginale. Come ha ricordato a noi giornalisti papa Francesco lo scorso 22 settembre, parlandoci del nostro mestiere, ma indicando una via utile per tutti, controllati e controllori, le regole sono davvero forti e benefiche quando le interiorizziamo. Quando, cioè, le sentiamo come conferma di un dovere e del rispetto di un diritto, che riconosciamo giusti e che siamo persuasi di dover onorare. Altrimenti, se è in ballo la coscienza non potremmo che obiettare. E se non avessimo coscienza, ma interessi, aggireremmo la legge.Che allora il 18 ottobre 2016 diventi un giorno da ricordare e da celebrare non come una festa retorica, ma come un importante momento di passaggio verso un’Italia più consapevole, più equa, più determinata a presidiare il concreto «bene comune». È un cammino che continua e che ha bisogno di tenaci convinzioni morali in tutti noi e di lineare chiarezza d’intenti da parte di coloro che hanno potere.