martedì 19 gennaio 2010
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Il coraggio e l’umiltà non van­no spesso a braccetto ma do­menica scorsa sono apparsi in­sieme allorché, per la seconda volta nella storia, un Pontefice ha fatto visita alla grande sina­goga di Roma. Un incontro ca­rico di valenze simboliche, per la data che ricorda l’assalto al ghetto e per le soste ai luoghi di una dolorosa memoria che il Papa ha voluto significativa­mente compiere prima d’en­trare nel Tempio Maggiore de­gli ebrei romani. Un incontro intenso, cordiale e affettuoso, punteggiato da frequenti ap­plausi in un clima di palpabile commozione ma anche di grande schiettezza. «Un mo­mento di grazia» l’ha definito Benedetto XVI che ha rilancia­to il dialogo tra Chiesa ed e­braismo nonostante le diffe­renze sostanziali, destinate a ri­manere tali, e nonostante le po­lemiche riesplose recentemen­te su Pio XII il cui nome è ri­suonato in modo accusatorio nell’incontro alla sinagoga. Il Papa non è sceso su questo terreno e ha di nuovo teso la mano al popolo dell’Alleanza con la tenera forza che è il trat­to distintivo di questo pontifi­cato dove la mitezza s’accom­pagna al rigore dottrinale. Il ge­sto compiuto da Papa Ratzin­ger s’inscrive nel solco traccia­to ventiquattro anni fa dal suo predecessore che, primo Pon­tefice in duemila anni, mise pie­de in una sinagoga. Un evento nel segno della continuità che però non significa pura e sem­plice ripetizione. La visita di Giovanni Paolo II abbatté il mu­ro dell’ostilità e dell’incomuni­cabilità che duravano da due­mila anni. Ma dopo la caduta di antiche barriere occorre co­struire nuovi ponti, ed è all’in­terno di questo lungo e labo­rioso lavoro di riconciliazione che assume grande importan­za l’incontro di Benedetto XVI con la più antica comunità e­braica della diaspora occiden­tale. Il Papa tedesco ha ripetu­to con toni accorati l’appello a «sanare per sempre le piaghe dell’anti-semitismo e dell’anti­giudaismo ». Ha sciolto il ghiac­cio del sospetto e della diffi­denza alzandosi in piedi, prima di tutti gli altri, per rendere o­maggio ai sopravvissuti della Shoah. Ha confermato ancora una volta di nutrire sentimenti sinceri di stima ed amicizia per il popolo ebreo. E definendo «ir­revocabile » la linea del dialogo tracciata dal Concilio ha rassi­curato i suoi interlocutori, a co­minciare dal rabbino capo Di Segni che aveva sollevato l’in­terrogativo nel suo discorso di saluto. Contro il rischio di rimanere prigionieri del passato Bene­detto XVI, più che a guardare in avanti, invita ad alzare lo sguar­do verso l’alto, «riconoscendo l’unico Signore». Il Papa-teolo­go ha richiamato cattolici ed e­brei a ritrovare nella Bibbia il fondamento più solido e pe­renne, ricordando, come aveva già fatto nel suo viaggio in Ter­ra Santa, che il legame di soli­darietà fra Chiesa e popolo e­braico non è un fattore estrin­seco ma si colloca «a livello del­la loro stessa identità spiritua­le ». E ha indicato nel Decalogo il faro per tutta l’umanità. È in questa prospettiva che il Papa ha delineato con accenti inno­vativi una sorta d’agenda di la­voro, un impegno comune per quanto riguarda la tutela della vita, la difesa della famiglia e la protezione dell’ambiente. Benedetto XVI è il Papa che ha visitato più sinagoghe, tre in cinque anni. Vorrà pur dire qualcosa. Quel che con Papa Wojtyla fu un gesto straordina­rio ed eccezionale, con Papa Ratzinger è diventato un atto pressoché tradizionale. È il se­gno tangibile di una riconcilia­zione che nessuno riuscirà a fermare.
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