Fare insieme. In queste due parole è racchiuso il senso dell’incontro, a suo modo storico, tra il Papa e gli imprenditori di Confindustria ieri in Vaticano. L’appello al valore positivo dell’impresa, in un Paese come il nostro che ancora la circonda di sospetti e resistenze additandola come luogo inesorabile dello sfruttamento della persona che lavora, è stata la sfida lanciata dagli industriali, davanti alla quale il Pontefice non si è certo tirato indietro. Francesco ricorda da tempo nel suo magistero che l’economia deve essere per l’uomo e non l’opposto. Questo porta a guardare con occhi nuovi la realtà dell’impresa, che può essere luogo di crescita della persona, della sua formazione, della sua dignità. Ciò è possibile se si inizia a considerare la persona per quello che è: non unicamente come un ingranaggio del sistema, ma come il fulcro della vita di una impresa. E la persona non è solo fatica e sacrificio, ma anche bisogni, desideri, ambizioni. Tutto questo non può essere espulso dalla vita quotidiana delle imprese, ma amplia la sua concezione e apre all’idea di comunità, nella quale l’attenzione per i membri è condizione per il suo buon funzionamento. Le parole di papa Francesco sono quindi molto di più di un richiamo etico alla responsabilità sociale delle imprese. Possiamo leggervi un richiamo a un nuovo umanesimo economico, che ha la pretesa di incidere profondamente nelle logiche imprenditoriali. E le nuove frontiere del mercato del lavoro lo dicono chiaramente: un lavoratore unicamente sottoposto a direttive e ordini oggi non è più utile all’impresa. Innovazione e nuove tecnologie hanno bisogno di veri e propri collaboratori, e non solo di dipendenti, che sappiano progettare, reinventare e costruire insieme un obiettivo comune. Per questo nel microcosmo di una impresa il
fare insieme significa rendersi conto che superare il conflitto tra capitale e lavoro, attraverso schemi partecipativi, è l’unica strada per innovare e per restare oggi sul mercato in modo competitivo. C’è poi il secondo aspetto di questa dimensione comunitaria e collettiva e che è nella natura di associazioni come Confindustria: la rappresentanza. Una termine oggi apparentemente in declino, tanto sul fronte politico, con una crisi dei partiti senza precedenti, quanto su quello sociale. Il richiamo al
fare insieme è la chiave per rinnovare oggi la rappresentanza, superando gli schemi autoreferenziali, le lotte intestine e le chiusure che negli anni l’hanno portata a essere identificata come un elemento di conservazione più che di rinnovamento. La rappresentanza può avere un senso oggi, e una importanza strategica per tutta la società, se aiuta a costruire ponti laddove oggi c’è distanza e diffidenza reciproca. Può avere senso se ritorna alla sua origine di risposta ai bisogni concreti di imprese e lavoratori, oggi a rischio di isolamento sia per l’opprimente competizione internazionale che per le difficoltà della ripresa economica che condannano ancora milioni di lavoratori alla disoccupazione e al lavoro nero. Se le persone e le imprese non colgono questa dimensione di aiuto e inclusione significa che le associazioni di rappresentanza stanno perdendo la loro linfa vitale, ma questo non vuol dire che il loro scopo originario sia venuto a meno. L’utopia di un sistema 'disintermediato' oggi condannerebbe le persone a dover contare unicamente sulle loro forze e le imprese a contare unicamente sul sostegno delle istituzioni. Una strategia sbagliata e senza futuro. Questo non significa che la sfida del Papa sia semplice, né che basti un quasi nostalgico ritorno alle origini per rivitalizzare la rappresentanza. Si tratta di un percorso arduo, che necessita di un rinnovamento che parta dal presente, non dal passato. Partendo dalle novità del mercato del lavoro, della tecnologia, della competizione internazionale, dei sistemi produttivi, dei distretti industriali, dei modelli di business e di molto altro ancora. Ora tocca alle imprese, e con loro ai lavoratori, insieme. Perché – Francesco lo ha detto con chiarezza – «come sarebbe diversa la nostra vita se imparassimo a lavorare, a pensare e a costruire insieme». Non possiamo che augurarcelo tutti.