Per un bambino piccolo seguire i propri genitori è naturale. Se sono cristiani osservanti, vanno a Messa, quando è il momento mandano il loro figlio a catechismo, e il bambino sarà osservante. Poi, diciamo dopo la Cresima, se frequenterà dei compagni che non vanno a Messa, che non fanno più o non hanno mai fatto la prima comunione, il bambino potrà cambiare e diventare 'curioso' di incredulità. Ma se è molto forte la radice pedagogica genitoriale (o almeno di un genitore, per tanto tempo solitamente la mamma) favorevole alla religione e alla sua pratica, il bambino che cresce non vi rinuncerà facilmente. Se invece la religione è più di facciata che di sostanza, il bambino in crescita crederà di capire che frutto della sua ragione che si va formando è la scoperta che la religione non dica la verità. Insomma, assetato come sarà di verità, il bambino diventato ragazzino e ragazzo si potrà convincere che sia più logica l’inesistenza dell’esistenza di Dio, dopodiché diventerà per lui naturale staccarsi e non fare più la 'fatica' di credere. A quel punto eccolo entrato in una zona fredda, di disattenzione al sacro, di disinteresse al divino, una zona dove la religione c’era e si è perduta. C’è però ancora un’altra zona, quella dove la religione non c’è mai stata: la zona atea. E a lungo è sembrato che quasi nessun fanciullo, quanto meno fino ai nove, dieci anni, la potesse abitare. Ma non è più così. L’altro giorno ho chiesto a un bambino di quell’età se mi sapeva citare una parabola che a catechismo l’avesse particolarmente colpito. Mi ha risposto che non sapeva cosa fosse una parabola e, quando gli ho detto, che è uno dei racconti fatti da Gesù, mi ha troncato il discorso: «Noi in famiglia siamo atèi». Ha detto proprio così,
atèi, con l’accento sulla 'e', dopodiché ci siamo messi a parlare, malinconicamente, di calcio. Ho saputo poi che il bambino non era stato neanche battezzato. Era, è, uno dei bambini senza Dio del nostro Paese. Che non devono essere ormai pochi viste le stime (qualche milione) sugli adulti italiani che si definiscono atei o agnostici. Mi sono chiesto come cresca un bambino allevato senza alcun insegnamento religioso. Non viene battezzato, non va a catechismo, non va a Messa, non fa la comunione, non viene cresimato. In pratica non sa neanche farsi il segno della croce e come oggi ignora Gesù bambino, domani non saprà nulla di Giovanni Battista, delle nozze di Cana, della Samaritana, del cieco nato, della pesca miracolosa, del figliol prodigo. Dopodomani, conseguentemente, quando farà studi superiori, non si troverà in sintonia con il Cantico delle creature di Francesco, con Dante e, se li incrocerà, con Agostino, Tommaso, Pascal, Manzoni eccetera. Di più: educato a vivere di ragione e a giudicare in base alla propria logica, non vorrà essere 'segnato' da nessun Santo e da nessuno degli autori cristiani. Li conoscerà, se li conoscerà, rimanendone staccato e chiamerà questo atteggiamento: essere obiettivi. Noi oggi viviamo tempi difficili e non per niente, di fronte a tanti delitti condotti sotto un segno che si vorrebbe religioso, si sente dire: 'Io le religioni le abolirei tutte'. Ma come evangelicamente non è il sabato a essere padrone dell’uomo, così non è la religione a guastare una persona, a snaturarla: è il contrario. Noi crediamo nel perdono, noi veniamo quest’anno educati alla misericordia, noi siamo per la carità, noi avversiamo ogni fondamentalismo e questo basterebbe a fare della nostra religione un bene, un valore, un accrescimento. Quando è negata a chi ha tutta la vita davanti avviene una chiusura d’orizzonte, una limitazione d’accesso a patrimoni umani immensi per i quali non ci si domanda mai abbastanza come si sarebbero potuti formare senza la spinta della fede. L’infanzia ha un suo calore che si alimenta del calore della fede, delle parabole, degli episodi del Vangelo. Per un bambino che mi dice di essere ateo io mi rattristo, ma ricordo a me stesso – devo farlo – che il Signore bussa alla porta nelle ore che sa Lui e bussa per tutti. Chi ieri non era in casa, domani può esserci, può aprire la porta e ricevere la Parola. È avvenuto, continuerà ad avvenire in tempi e modi che noi adesso, sotto questi cieli minacciosi, ignoriamo, ma che ci saranno. Perché noi giudichiamo dall’angolazione del nostro tempo e da nessun’altra. Qui piantiamo, qui seminiamo. Ma, come dice Paolo (1 Cor 3, 7), «non è chi pianta né chi irrìga a valere qualcosa, ma Dio che fa crescere».