Benedetta ingerenza. La conferenza stampa a Parigi di Pierre Moscovici, commissario europeo agli Affari economici, è piombata sulla campagna elettorale con i caratteri di un vibrante ossimoro. Da un lato, è servita a ricordare a tutti che l’Italia è parte dell’Unione Europea e che nei 60 giorni precedenti il voto non possiamo costruire una caricatura a scopi propagandistici di cosa comporta essere uno Stato membro. Se l’intervento è stato quindi opportuno, dall’altro ha finito con l’assumere il tono di una invasione di campo capace di dare ulteriore fiato ai montanti sentimenti anti-europei.
È una constatazione di oggettiva lucidità affermare che le elezioni italiane saranno un passaggio chiave per la Ue quest’anno, come lo erano state nel 2017 le urne in Francia e Germania, diverso risulta però dare giudizi troppo circostanziati sulle proposte programmatiche o sulle singole esternazioni di partiti o candidati. Ciò detto, le reazioni interne ai giudizi espressi da Moscovici hanno manifestato plasticamente l’esistenza di due fronti trasversali all’interno del nostro panorama politico. Gli europeisti, con diverse gradi di convinzione e di coerenza, sono sempre stati maggioranza, facendo dell’Italia uno dei più solidi bastioni dell’Unione. I cosiddetti sovranisti, prodotto recente della crisi del 2008 e di tendenze genericamente populiste e neo-nazionaliste, sono invece coloro che sfruttano l’Europa come capro espiatorio per tutti i mali che ci affliggono e provano a dimenticare obblighi e vincoli nel fare proposte spesso irrealistiche e insostenibili nel quadro delle regole e degli accordi comunitari. Per qualche settimana il dibattito si è svolto appunto in questa cornice di amnesia selettiva, di bersaglio costruito ad hoc, lasciando sullo sfondo non solo i rischi di 'andare da soli', ma anche le oggettive impossibilità in tempi medio-brevi.
Sembra che la Brexit non stia insegnando nulla: i problemi non sono per l’economia britannica, beneficiata come tutte dalla ripresa dell’intero Occidente, ma risiedono nello stesso processo di separazione da Bruxelles, un rompicapo costoso e anche politicamente impervio, per un Paese che nell’euro non è mai entrato e che aveva sempre cercato di mantenere un margine in più di insularità rispetto a tutti gli altri membri. Al referendum sulla moneta unica il movimento M5S ora si riferisce soltanto come a una extrema ratio cui sarebbe meglio non dovere mai ricorrere. Tuttavia, l’insistita sottolineatura della volontà di sfondare il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil non può che allarmare gli organismi Ue preposti al controllo dei conti. È lecito contestare l’austerity che spesso non ha favorito né la crescita né la stabilità – l’Italia lo ha fatto per anni con i suoi governi 'europeisti' e alla fine il cambio all’eurogruppo tra il falco olandese Dijsselbloem e il portoghese meno rigorista Centeno testimonia, tra le altre cose, dei passi avanti compiuti – , ma non sembra né saggio né utile progettare violazioni deliberate e sistematiche al solo scopo, verrebbe da dire, di compiacere la propria base. Né ha senso attaccare Moscovici in quanto 'burocrate', non titolato a parlare di questi temi, come ha fatto la Lega, dato che un commissario europeo ha il rango di un ministro scelto di concerto dal presidente della Commissione con i capi di Stato e governo dei membri dell’Unione.
Le rimostranze sui commenti, non diplomatici, dell’esponente Ue sono invece giustificate proprio in relazione alle preoccupazioni anti-sovraniste che le hanno ispirate. Non si offre, infatti, migliore alibi ai critici dell’Europa che l’immagine di un progetto orientato a omologare le dinamiche nazionali, conculcando all’origine la libera scelta dei cittadini. Attenzione, non si tratta del fatto che le istituzioni europee non debbano interloquire con e nel processo elettorale. Siamo in una struttura sovrannazionale che si basa su chiari princìpi ispiratori – se c’è una critica fondata è che non possieda valori abbastanza forti –, tali, per esempio, da farle mettere sotto procedura di infrazione la Polonia che – con decisioni di Parlamento ed esecutivo liberamente eletti – sembra violare l’autonomia del potere giudiziario. Ma questo non toglie che la dialettica tra Bruxelles e gli Stati nazionali debba essere improntata a un maggiore equilibrio e una maggiore sobrietà di toni. Luigi Di Maio, dopo le critiche, ha proposto un confronto con Moscovici. Sarebbe davvero una svolta positiva se tutte le forze politiche che legittimamente aspirano alla guida del Paese mettessero con onestà i propri elettori di fronte alla complessità del contesto in cui i programmi devono essere realizzati. Con l’Unione Europea al primo posto.