Gli indebitamenti di tutti i Paesi sono aumentati a seguito della crisi finanziaria; per molti Paesi con situazioni assai peggiori delle nostre non si è verificata alcuna tensione nel collocamento del debito perché la speculazione non li ha attaccati. Oltre a considerazioni strategiche e disegni mirati a scardinare l’euro, considerandolo alla stessa stregua di un regime a cambi fissi e non una moneta irreversibile, gli speculatori difficilmente attaccheranno debiti sovrani quando c’è una Banca Centrale prestatrice di ultima istanza. La speculazione in atto in Europa non fotografa la crisi, ma la crea con le sue manovre. Senza gli eccessi dello spread la crisi sarebbe forse già alle spalle. L’eccesso di spread è il secchio bucato che ha fino ad oggi limitato l’efficacia dei nostri sforzi di risanamento dal lato dell’economia reale. Dopo l’approvazione del Fiscal compact l’Italia si è impegnata a ridurre del 3% all’anno la quota del rapporto debito/Pil che eccede il livello del 60%. Vuol dire circa 35-40 miliardi all’anno di manovra. Ed è impossibile immaginarne a questi livelli di spread.Il vero problema è che le manovre vanno a ingrassare gli speculatori anziché ridurre il debito. Le proposte di vendere pezzi di risorse pubbliche a tutti i costi, anche a prezzi stracciati, sarebbero un ulteriore segnale di debolezza in questo momento. La riduzione dei costi della politica va invece accelerata, ma in senso lato. Occorre che tutti i Paesi membri si rendano conto che l’idea di affrontare situazioni drammatiche per il futuro dell’Europa in maniera strumentale, a meri fini elettorali, è miope ed inaccettabile. Il dibattito politico dovrebbe incentrarsi unicamente sul futuro dell’Europa. Per il resto ci sarà tempo, una volta superata la crisi. La polemica sul ruolo di Governi e Parlamenti di questi ultimi giorni la dice lunga sul fatto che troppi rappresentanti politici non sembrano ancora essersi resi conto dell’enorme potere ormai accumulato dai mercati finanziari proprio per l’inadeguatezza e incompiutezza delle scelte politiche. Basterebbe che la Bce annunciasse di essere disposta ad acquistare titoli italiani e spagnoli in quantità illimitata dichiarando la propria fiducia nelle politiche di risanamento di quei Paesi nel mirino, impegnandosi a farlo in modo credibile, che la speculazione si scioglierebbe come neve al sole. Gli Stati Uniti che sono intervenuti con tempismo attraverso il Tarp facendo acquistare alla Fed, allo Stato e ai privati azioni delle banche a prezzi stracciati all’apice della crisi finanziaria del 2007 hanno oggi realizzato dei guadagni. Se siamo convinti che la speculazione abbia gonfiato lo spread, la risposta migliore è comprare per poi guadagnarci al momento in cui lo spread ritorna al valore fondamentale.È bene ribadirlo: per la Bce il modo migliore per intervenire, senza "sprecare" risorse, è agire direttamente sul mercato primario. L’Istituto di Francoforte, inoltre, non deve chiedere lo status di creditore privilegiato per non generare indirettamente una svalutazione dei titoli in possesso degli altri creditori provocando così una salita dello spread. Il suo auspicato intervento, collocandosi in un quadro di eccezionalità, non deve configurarsi come una monetizzazione dei debiti sovrani (che è, del resto, vietata dal suo Statuto), ma come una risposta necessaria contro gli speculatori che mirano a far saltare l’unione monetaria. Visto che il consenso è unanime sul fatto che lo spread risulta artificiosamente gonfiato per fini speculativi, grazie all’inerzia auto-imposta da uno Statuto mal disegnato che non ha previsto l’evenienza di tali attacchi, basterebbe l’impegno, anche limitato a uno o due anni, a far sì che le nuove emissioni di titoli italiani e spagnoli avvengano a prezzi compatibili con i fondamentali economici, giudicati tali dalla Bce di concerto col Fondo monetario internazionale. Sarebbe un rimedio utile a sgonfiare lo spread e a indurre gli speculatori a rivolgere la loro attenzione altrove.Se anche questo fosse considerato incompatibile con le regole vigenti, allora bisognerebbe modificare lo Statuto rapidamente nel senso proposto, altrimenti la Bce rischierà di ritrovarsi paradossalmente senza la moneta stessa che intende mantenere stabile. Non è concepibile rimanere alla mercé della speculazione perché ci si è autoimposti regole suicide. Le pesanti ingerenze della Bundesbank in questi giorni, oltre ad alimentare la speculazione, dimostrano la non percezione delle mutate condizioni in cui operano i mercati finanziari e ritardano l’adozione di misure ormai non più procrastinabili. La visione di una parte importante della classe dirigente tedesca secondo la quale la "buona Banca Centrale" è quella che rimane inerte e che si preoccupa soltanto di mantenere una inossidabile reputazione antinflazionistica, ignorando il resto, può indubbiamente evocare immagini nostalgiche, ma oltre ad essere anacronistica, rischia di far crollare irreparabilmente l’euro. Gli ultimi dati pubblicati da Destatis, l’istituto centrale di statistica tedesco, confermano la crescita vertiginosa dell’avanzo commerciale della Germania, a fronte di deficit di tutti gli altri partner europei, Francia inclusa. È l’inevitabile effetto della implicita svalutazione competitiva che sta favorendo l’export tedesco, mentre gli altri Paesi, vittime della speculazione (che genera tra l’altro pessimismo nel mondo imprenditoriale, che trova più conveniente investire in titoli che produrre con questi tassi d’interesse, secondo il rapporto Mediobanca), stanno assistendo inermi a un processo di deindustrializzazione che potrebbe avere conseguenze catastrofiche. Una crisi nella crisi che non è frutto dalle leggi di mercato, ma dalla speculazione finanziaria che affonda i suoi colpi su un’Europa incapace di dare tempestivamente risposte incisive e credibili. Time is over, come direbbero gli inglesi. Il tempo dell’inerzia è scaduto.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI:
Opinioni
Come Cristo smarrito al Tempio ormai loro abitano la Gerusalemme eterna. Ma questo sarà per noi una sorta di miracolo: i santi abitano le distanze per abilitarci alla ricerca
Il Rapporto Aifa 2023 evidenzia una spesa farmaceutica in crescita, forti disuguaglianze regionali e inefficienze dovute anche alla poca informazione indipendente