Caro direttore,
lasciare gran parte delle risorse nella disponibilità del governo regionale, affidare a quest’ultimo la completa titolarità nella gestione di sanità, scuola e beni culturali e ambientali in modo da rendere più efficienti i servizi. Sono questi, nella semplificazione comunicativa di questi mesi, alcuni degli argomenti utilizzati per sostenere il progetto di autonomia differenziata che riguarda Lombardia e Veneto e, con caratteristiche diverse, l’Emilia- Romagna.
Una discussione che la crisi di Governo fa passare in secondo piano, ma che già si era incagliata nella faticosa dialettica fra le due forze base della maggioranza giallo-verde e che, comunque, appare oggi prigioniera dell’esigenza di conservare o recuperare il consenso acquisito o perduto da Lega, Movimento 5 Stelle e forze di centrosinistra. Sotto la superficie di questa diatriba, però, vi è un nodo ancora irrisolto della storia politica e costituzionale del nostro Paese: la questione della forma del sistema regionale e delle autonomie della Repubblica.
Al di là del modo assai superficiale con cui la questione viene posta in queste settimana, esiste infatti l’urgenza di riprendere quel processo di costruzione dell’ordinamento regionale e locale che dopo la modifica del titolo V della Costituzione varata nel 2001 e la legge 42/2009 sull’autonomia fiscale, ha conosciuto un forte ridimensionamento. Quel percorso ha una storia antica, che si può far risalire al progetto 'regionalista' che Marco Minghetti propose all’indomani dell’Unità d’Italia e passa poi per la Carta del 1948, che prevede le Regioni, istituite poi solo nel 1970.
Dentro questo percorso, la forma di autonomia che ha preso corpo nell’Italia repubblicana è quella che storicamente scaturisce dalla tradizione cattolico liberale e popolare. Si tratta di un’impostazione imperniata su una concezione della responsabilità politica che affida il governo delle diverse materie a quel livello istituzionale che più efficacemente può garantire l’organizzazione e il funzionamento di quelle strutture che garantiscono e promuovono i diritti.
Quello che viene chiamato 'principio di sussidiarietà' è il cuore dell’idea di autonomia e di soggettività politica e istituzionale di enti locali e regioni che appartiene alla cultura e alla storia politica italiana. Un principio che però non disegna solo livelli diversi di responsabilità, ma che sancisce anche un dovere di solidarietà orizzontale che ha un fine ben preciso: evitare il rischio che il Paese veda un’applicazione disomogenea di quel dovere di tutela e promozione di diritti e doveri che qualifica la Repubblica come un tutto. Il nodo centrale è allora quello di pensare il processo di autonomia non nei termini del diritto di un singolo ente, in questo caso la Regione, di gestire direttamente le risorse fiscali nella convinzione di poter governare la quasi totalità delle questioni in capo alla politica.
Occorre costruire una visione delle autonomie a partire dai diritti e dai doveri e dal modo più efficace per tutelarli e garantirli, con la consapevolezza che ciascuno di quei diritti non può essere esaurito, nelle sue potenzialità di sviluppo della persona umana né al livello cittadino o regionale, né in quello nazionale. Si pensi al diritto-dovere al lavoro, che rappresenta lo strumento con cui ciascuno può acquisire la propria dignità contribuendo alla crescita sociale, culturale, politica ed economica della propria comunità. Questo trova una maggiore compiutezza non solo dentro il perimetro geografico nazionale, che pure offre maggiori opportunità e maggiori possibilità di crescita professionale rispetto a quello regionale.
È il livello europeo, la possibilità di mobilità lavorativa garantita dal nostro essere parte di una 'patria Europa', che rende più effettivo questo diritto. Lo stesso vale per l’istruzione, che grazie ai programmi europei di mobilità per studenti, docenti e ricercatori apre al diritto allo studio e alla libertà della cultura delle potenzialità che il livello regionale o nazionale non può offrire.
Questo approccio suggerisce che la questione dell’autonomia non possa essere abbandonata alla definizione dei rapporti fra lo Stato e due o tre Regioni soltanto. È piuttosto un processo che apre la possibilità di rendere la nostra Repubblica più capace di garantire diritti e di responsabilizzare i cittadini rispetto ai doveri, attraverso lo strumento della sussidiarietà come forma di solidarietà nelle comunità e fra le comunità. È l’occasione per rafforzare l’unità nazionale, il cui simbolo non è la difesa dei confini dello Stato ma piuttosto il senso di appartenenza a quella comunità di diritti e doveri integrata nello spazio politico europeo. Serve ripartire da qui per completare un cammino che richiede una modifica dell’assetto istituzionale della Repubblica dentro un’Europa che ha una sensibilità politica per i luoghi e le comunità dove i diritti e i doveri dei cittadini si fanno esercizio quotidiano di dignità.
Storico della filosofia Comitato Scientifico di Argomenti2000