Gentile direttore,
è più forte di me. Glielo giuro, mi piacerebbe tanto tanto. Eppure stavolta non ce la faccio ad essere d'accordo con il professor Leonardo Becchetti che su “Avvenire” di venerdì 17 febbraio firma l’editoriale da lei titolato “Ma l’eco-svolta ci farà bene” . Le motivazioni sulle quali egli preconizza un futuro radioso per le auto a trazione elettrica, sono alla prova attuale dei fatti sicuramente volenterose, ma un poco ottimistiche. In altre parole, studi altrettanto seri stanno a dimostrare che esistono problematiche che sono tuttora irrisolte, in tutto o in parte. Mi riferisco al raggiungimento più o meno prossimo di una uguaglianza di prezzi tra auto elettriche e quelle a motore endotermico; ad una facilità di reperimento di energia elettrica a basso costo e da fonti non inquinanti; alla produzione e allo smaltimento delle batterie elettriche; alla limitata autonomia chilometrica delle stesse. Su un tema il professor Becchetti sembra mostrare prudenza: i lavoratori oggi impegnati nel manifatturiero legato al motore endotermico sapranno riconvertirsi? L’economista elegantemente sorvola sulla questione aziende: che si risolvano il problema della conversione del prodotto da loro medesime, sembra dirci. E quindi passa al solo tema della formazione del personale. Ci esorta a dedicarci alla riqualificazione della forza lavoro, puntando alla formazione continua. Bello e ineccepibile: facile e sicuro. Ma attenzione: la tecnologia, oserei dire tutte le tecnologie, oggi galoppano e non è semplice starci dietro. Rivolgo una domanda al professore: “Lei ha già provato a formare su un nuovo tema, sia esso letterario, o medico o ingegneristico una persona che abbia superato i trent'anni di età? Ci provi, e poi mi racconti. La eco-svolta, che ci porterà entro il termine perentorio del 2035 allo stop della produzione di auto con motore endotermico, rappresenta una svolta ideologica, non tecnologica. O, se vogliamo essere un pelo ottimisti, non ancora tecnologica. Di questo oggi (all'alba del 2023) dobbiamo essere ben consapevoli. Negli anni 80 del Novecento le stampanti uccisero le macchine da scrivere meccaniche. Quella fu una rivoluzione tecnologica (anche se non produsse svolte ecologiche). Oggi il motore elettrico, alla luce delle problematiche prima citate, non ha ancora ucciso il motore endotermico. Magari succederà e ce lo auguriamo di cuore. Ma attenzione: la ricerca del “bene” astratto ha creato danni inenarrabili, dal 1789 in poi. Tutto questo fu ben scritto negli anni 50 del secolo scorso con acuta preveggenza da Gabriel Marcel nel suo “L’uomo contro l’umano”, che il professor Becchetti, avrà probabilmente letto e – spero – apprezzato. Un caro saluto da parte di un vecchio abbonato, già scout (sensibile al rispetto della natura) e da anni imprenditore nel settore auto (sensibile al benessere e alla salute degli 80 colleghi).
Paolo Costa
Gentile ingegner Costa, il direttore mi invita a dialogare con lei e io lo faccio volentieri. Capisco ovviamente punti di vista e preoccupazioni di un addetto ai lavori che il cambiamento lo sta vivendo in prima linea e che ha responsabilità di famiglie e posti di lavoro. È senz’altro meno doloroso trarre conclusioni quando non si è in prima linea, ma allo stesso tempo la visione d’insieme delle linee di tendenza può esser d’aiuto e offrire scenari utili agli addetti ai lavori, almeno spero. Sul rapporto tra costo dell’auto elettrica e dell’auto a benzina o diesel un riferimento interessante è il sito dell’Agenzia internazionale del clima che offre la possibilità di confrontare i prezzi alle condizioni attuali tenendo conto di tutti i fattori: non soltanto l’acquisto dell’auto ma i costi d’utilizzo nel tempo confrontando quelli della ricarica con il pieno di benzina e molti altri parametri, il cosiddetto total cost of ownership (tinyurl.com/2zyvgy9a). È sorprendente constatare, inserendo costi dell’elettricità e della benzina di ciascun Paese, che già oggi in India l’auto elettrica costa meno di quella a benzina per i modelli di bassa gamma al superamento di nove anni di proprietà dell’automobile e che lo stesso accade per le auto italiane al superamento di sette anni. Le cose inoltre sono convinto cambieranno e di molto a favore dell’auto elettrica nei prossimi anni per via dell’aumento della scala di produzione che consentirà di ridurre in modo assai consistente i costi medi di produzione, abbassando i prezzi di vendita in condizioni normali di concorrenza. I progressi nel riciclo delle batterie e delle durate di percorrenza delle auto elettriche (nel 2023 uscirà la prima auto elettrica con autonomia di 1.000 chilometri) sono continui e costanti tanto da ridurre significativamente le necessità di approvvigionamento da altri Paesi e da rendere già oggi una ricarica di auto elettrica utile per più giorni di percorrenza media urbana. Inoltre, sul fatto che il motore elettrico non abbia ancora ucciso quello endotermico i programmi di molte cause automobilistiche di smettere di produrre i secondi prima del 2035 sembrano indicare però una strada già tracciata. Quanto alla fatica della riconversione, molto più difficile per i lavoratori che per il capitale finanziario che può essere spostato e reinvestito da un settore all’altro (si pensi ai casi di Erg e Nokia tra gli altri), sono assolutamente d’accordo con lei. Proprio per questo avevo sottolineato nel mio commento l’importanza assoluta del diritto alla formazione e alla riqualificazione dei lavoratori sostenuto da risorse pubbliche nei contratti di lavoro. In questo possono forse confortarci alcune buone pratiche anche se sappiamo benissimo che le eccellenze non sono sempre rappresentative della lentezza del cambiamento medio. Amx Automatrix è un bell’esempio citato in questi giorni di azienda leader nella componentistica del motore endotermico che si è già riposizionata con la sua forza lavoro ed è diventata leader nella componentistica del motore elettrico esportando già oggi in Cina e in tanti altri Paesi del mondo. Ovviamente sono previsioni, e possiamo sbagliare. Ma se nel 2035 ci saremo ancora, come spero, potremmo darci appuntamento, per una bella cena e vedere chi aveva ragione (e il direttore Tarquinio mi ha fatto sapere che si considera a sua volta invitato...). La cena, però, la offrirò comunque io se, nonostante l’avverarsi delle mie previsioni, l’impresa di traghettare l’azienda e i lavoratori nel nuovo contesto sarà riuscita. Perché è questa l’impresa più importante che le auguro assolutamente di realizzare (con l’aiuto sperato e razionale di istituzioni lungimiranti). È la sensata scommessa da vincere.