Per la 47ª giornata mondiale delle comunicazioni sociali – l’unica giornata mondiale istituita dal Concilio Vaticano II, con la
Inter Mirifica – il Santo Padre ha formulato il suo appello a pensare i media oggi usando due metafore straordinariamente efficaci: il messaggio, come i lettori sanno bene, ha infatti per tema "Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione".Parlare di porte e di spazio significa innanzitutto, come ha sottolineato padre Antonio Spadaro nel suo primo commento al tema del messaggio, optare per una concezione decisamente realista della rete: digitale non è uguale a fittizio, inautentico, alienato. Al contrario, la rete è uno spazio di esperienza. E non uno spazio 'altro', ma un’estensione del nostro spazio vitale quotidiano. Così come l’auto, e l’aereo, hanno esteso l’ambito della nostra esperienza e delle nostre attività e hanno riconfigurato l’orizzonte entro cui immaginiamo i nostri percorsi biografici (dove studiare, dove lavorare, dove abitare...). Spazio, etimologicamente, contiene l’idea di estensione, allargamento, oltrepassamento (e non, come siamo invece abituati a pensare, di "contenitore"). È ciò che si estende tra due termini; quindi, in un certo senso, un medium (ciò che sta in mezzo).Trasportare l’esperienza attraverso diversi tipi di spazio, lo diceva già Marshall McLuhan, significa tradurla: lasciarla andare per riafferrarla in un modo nuovo. Tutti i media per McLuhan sono metafore, e metafora viene da meta-ferein, trasportare. Ha a che fare dunque con lo spazio e con il movimento di trasformazione e superamento che esso consente. Ma a spazi differenti si accede attraversando dei passaggi: delle porte, appunto. Anche l’etimologia di 'porta' è illuminante. Da un lato è legata al 'sollevare' (l’aratro che tracciava il perimetro delle mura della città si sollevava in corrispondenza del punto in cui dovevano essere le porte), dall’altro all’attraversamento (la porta unisce/distingue due spazi eterogenei: il pubblico e il privato, il profano e il sacro...). Segna dunque una discontinuità, ma insieme un’unità. Ed è l’essere umano con le sue azioni, con i suoi spostamenti che disegnano – come scriveva Michel De Certeau – traiettorie di significato, con i suoi gesti di attraversamento a unificare gli spazi eterogenei.La porta (l’interfaccia) per quanto facile da attraversare (anche se le barriere architettoniche-digitali sono ancora troppe), collega dimensioni dello spazio che sono eterogenee. Ma questo non significa che una sia falsa e l’altra vera, una autentica e l’altra no. Al contrario, significa che chiudere la porta a una delle due dimensioni oggi limita la nostra vita, sociale ma anche cognitiva e persino spirituale, perché ci preclude la possibilità di capire cosa la rete ci insegna sul modo di pensare la fede oggi. Lasciare il digitale fuori dalla porta per timore dei suoi rischi, o autorinchiudersi in un mondo prevalentemente online dimenticandosi del resto, sono oggi due derive da evitare.Le porte segnano una discontinuità e l’attraversamento ci rende più umani. Ma vanno lasciate aperte. Un movimento che molti hanno dimenticato, preferendo rinchiudersi nei mondi autoreferenziali del materialismo, dell’individualismo, dell’idolatria (l’idolo è il 'tutto pieno' che appaga con la propria presenza, mentre il simbolo è ciò che apre ad altro da sé). La porta è un passaggio verso altro, un affaccio verso un mondo che ci è meno familiare, ma che possiamo conoscere e rendere abitabile, cioè degno della nostra umanità. Definire i social network (che non sono solo Facebook e Twitter) delle porte di verità e di fede significa predisporci a cogliere le straordinarie opportunità di rinnovare il nostro sguardo, allargare i nostri orizzonti, ascoltare i nostri bisogni profondi: di infinito, di andare oltre, di trascendenza (che è il movimento di "oltrepassare salendo").Se lo spazio è ciò che sta in mezzo, che unisce mentre separa, la porta del web può essere un’occasione, oggi, per percorrere con rinnovato slancio lo spazio che ci separa dalla nostra umanità più autentica: quella che Gesù, nel quale è abolita ogni distanza tra cielo e terra, ci ha mostrato.