In queste settimane in cui si agitano polemiche intorno al tema della famiglia, mi permetto di suggerire a chi riflette su tale questione certo seria e meritevole uno sguardo per così dire più ampio. A volte leggere libri serve e la grande letteratura ci ha mostrato alcune cose importanti a riguardo.
Per esempio, che la famiglia senza la comunità va in crisi. Senza una esperienza di comunità, sia in senso stretto di amici ma anche di comunità civile, di un ambiente insomma vivo e propizio, la famiglia muore. Per questo, una certa insistenza sul tema, giocato sul terreno della società e della laica 'convenienza' della istituzione familiare, presente in tutte le civiltà, potrebbe essere cieco o addirittura dannoso se non tenesse conto che la famiglia non è un organismo che può vivere isolato, come spesso invece accade e come viene presentato da una pubblicistica banale. Lui e lei in appartamento con un cane e forse un bambino e le fette biscottate di marca sul tavolo, e tutto intorno il deserto di relazioni e comunità.
Ecco, tale organismo è – oltre che poco attraente – astratto e destinato al fallimento. Ad esempio, la famiglia più famosa della letteratura italiana, quella de 'I Promessi Sposi', diviene una famiglia, in mezzo alle convulsioni e alle prove della storia che ieri come oggi non mancano, proprio grazie al sostegno e alla presenza di figure esterne, di una civitas che sostiene e dà respiro a quel progetto di vita.
Non a caso, è proprio la vista di una comunità in cammino verso l’appuntamento con il cardinal Federico che smuove infine il cuore del crudele Innominato a liberar Lucia. Intendo che in quel magnetico e profondissimo romanzo, come nella esperienza di molte famiglie, il senso vivo di appartenenza a una tribù o una comunità è determinante. Non si può pensar di salvar le famiglie mentre le comunità vanno a ramengo.
Del resto, come si vede nel potente romanzo 'I Buddenbrook' di Thomas Mann, la famiglia che intende far leva solo su di sé, che ritiene di resistere alle intemperie e di essere un’isola (in nome dei soldi o del buon nome) è destinata alla rovina. La famiglia così come riceve dalla comunità trova un suo senso in quanto dona alla comunità: non solo l’essenziale nuova vita con i figli, ma anche reciprocità di sostegno. Una famiglia-monade è, insomma, un controsenso, asfittico e poco vitale. Non a caso, specie quando si allentano le relazioni con la comunità (a partire da quelle elementari, di vicinato, o parentali) la famiglia può divenire un gorgo oscuro di problemi, di solitudini, fino a esplosioni drammatiche.
Per questo, unitamente al tema della famiglia dev’essere posto quello della comunità. Lo sanno bene i cristiani, ma è esperienza che riguarda tutti. La insistenza sul tema famiglia, preso in sé, può essere meritorio al fine di sottolineare le necessità specie in campo fiscale e dei servizi, alle quali una politica intelligente deve dedicare attenzione e risorse, ma può anche divenire parziale e ideologico. La questione politica della famiglia è la medesima della comunità.
Ed è questione molto scomoda oggi che il pensiero dominante, specie con una potente azione sull’immaginario dei più giovani, tende a isolare gli individui, a renderli neutri consumatori, ad allargare quel che il primo attento studioso della democrazia, Toqueville, vedeva essere il suo buco nero e la ragione della sua crisi, oggi evidente: l’individuo trattenuto nel breve giro della ricerca delle soddisfazioni individuali, perciò ansioso e scontento.