giovedì 19 gennaio 2012
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​Processi penali che durano in media 5 anni (per una causa civile ce ne vogliono più di 7), 9 milioni di fascicoli arretrati, un punto percentuale di Pil bruciato ogni anno a causa dell’ingorgo giudiziario che imbottiglia il Paese. Niente di nuovo sotto il cielo cupo della giustizia italiana. Eppure qualcosa di inedito è accaduto, ieri al Senato e due giorni fa alla Camera: il Pdl, il Pd e i partiti che compongono il Terzo polo hanno presentato e votato insieme una risoluzione che approva in ogni sua parte la relazione del ministro Paola Severino sull’amministrazione della giustizia. Insomma, tolti di mezzo prescrizione accorciata e "processo lungo", ecco che il campo di battaglia dei più furiosi scontri della cosiddetta seconda Repubblica si trasforma nell’agorà dove è possibile intendersi, con il contributo costruttivo anche di altre forze che preferiscono mantenere un diverso approccio al tema.È sufficiente questa ovvia considerazione per stemperare la sorpresa che desta una convergenza politica mai registrata in Parlamento negli ultimi 18 anni? Forse no, a meno di pensare che sia possibile cancellare con un tratto di penna tutte le differenze emerse tra (e talvolta nei) partiti su argomenti centrali come la separazione delle carriere, l’organizzazione degli uffici giudiziari, la riforma del processo... Nell’osservatore più disincantato può rimanere il legittimo dubbio che il sostegno unitario al Guardasigilli sia tale in quanto, tutto sommato, "comodo": chi può opporsi, se non per partito preso, a un’analisi lucida e puntuale che denuncia il sovraffollamento delle carceri, l’inefficienza degli uffici giudiziari, la necessità di smaltire le pendenze arretrate, l’urgenza di tagliare gli sprechi e ottimizzare le risorse, umane e finanziarie? Ma il ministro, fin dal suo insediamento, ha detto con grande chiarezza che intende, per quanto possibile, cambiare qualcosa. Ecco, dunque, la prova che attende da qui alla fine della legislatura la larghissima maggioranza che appoggia Monti: al segnale politico dovrebbe seguire la dimostrazione pratica che il cambiamento di clima intorno ai problemi della giustizia è reale ed effettivo. Il poco tempo a disposizione non sia un alibi per non fare. Si cominci dalla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, riforma strategica attesa da decenni: entro nove mesi si dovrebbe dar seguito alla delega varata dal precedente esecutivo, ma già sono spuntati emendamenti trasversali (Pdl, Pd, Lega) per rinviare tutto di un anno, cioè al prossimo Parlamento e al prossimo governo. Si prosegua con l’approvazione del disegno di legge anti-corruzione e, magari, con la ratifica delle Convenzioni di Strasburgo sulla medesima materia, che risalgono al 1999 e per le quali (incredibilmente) il legislatore non ha ancora trovato tempo. Si traducano in norme le "buone pratiche" che fanno funzionare bene diversi palazzi di giustizia. Si raccolga la sollecitazione del vicepresidente del Csm a porre un argine al profluvio di processi penali e di cause civili "seriali" che intasano i tribunali. Per il primo ambito, oltre a una ragionata opera di depenalizzazione, sembra interessante l’ipotesi di estendere l’"archiviazione per irrilevanza", istituto già esistente per i procedimenti riguardanti minorenni. Per il civile, molto dipenderà dalla decisione sulla legittimità della media-conciliazione obbligatoria che la Corte costituzionale è chiamata a prendere nei prossimi giorni. Ma il problema è enorme, se è vero che la Cassazione è sommersa da migliaia di ricorsi per cause del valore di pochi euro. La prima sfida, per la politica, resta tuttavia quella di superare l’altro bipolarismo (magistratura-avvocatura, entrambe ben rappresentate in Parlamento) che in questi anni ha condizionato le politiche giudiziarie.
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