Finalmente si è mosso qualcosa, per bloccare lo stillicidio di suicidi tra gli imprenditori schiacciati da difficoltà economiche. È un’associazione nata nella regione che conta il maggior numero di aziende in crisi per mancanza di liquidità, il Veneto, si chiama «Speranzaallavoro», l’hanno voluta la Cisl e l’Adiconsum. Il giorno dopo la sua nascita, in Regione è stata varata una norma che concede immediatamente prestiti agevolati agli imprenditori che ne hanno bisogno. C’era da aspettarselo che in questa regione, dove più acuta è la crisi, più rapida sarebbe stata la risposta. L’etica che ha fatto nascere questa soluzione non è politica, non è partitica, non è economica, non è governativa, è cristiana. Sta nella solidarietà. Nella comprensione che se il tuo collega soffre anche tu soffri. Mentre scrivo, è in atto a Roma una fiaccolata, mossa dallo stesso sentimento, si chiama «Silenziosamente», per significare che non è una protesta urlante, non una minaccia politica, ma un richiamo ad osservare la sofferenza umana portata dalla crisi, il prezzo che scarica sulle famiglie, e in quei delicati clan che sono le piccole aziende. Delle quali bisogna parlare, per capire meglio il dramma. Per procedere bene, rettifichiamo alcuni termini, che la lingua corrente ci ha dettato, e che non sono corretti. Il più importante è quello che dice: «imprenditori in crisi», «imprenditori schiacciati dalle difficoltà economiche». Sì, ci sono anche questi, perché la crisi è come l’aria, penetra dappertutto, aziende grandi e piccole, a diffusione interna o a esportazione. Ma un problema eclatante, difficile da comprendere, riguarda le imprese non "debitrici", ma "creditrici" di somme importanti, il cui mancato arrivo le fa crollare. Ancora più straziante è che alcune, non poche, sono creditrici verso enti pubblici, comuni, province, regioni. Succede quando le imprese firmano un contratto, eseguono il lavoro nei modi e nei tempi concordati, ma i tempi scadono e il compenso non arriva, perché anche gli enti pubblici hanno i loro problemi. Queste imprese, in generale piccole, possono resistere un mese, due, tre al massimo, ma dopo crollano. O per meglio dire: il padrone crolla. Perché non può pagare i dipendenti, li lascia senza stipendio, e lo strazio lo uccide. Questi non sono padroni nel senso classico o marxiano del termine, il marxismo non comprende niente di questo lavoro: la loro impresa è la loro "famiglia allargata", conoscono personalmente tutti i dipendenti, quando un dipendente si sposa, il padrone viene invitato, quando nasce un figlio va a fare da padrino: la conclusione è che i problemi di denaro e di lavoro delle famiglie-satelliti sono i problemi della famiglia-madre, quella del padrone. Quando uno di questi padroni si suicida, è un atto di disperazione affettiva. Aiutarlo quando sta per crollare è un dovere. Ed essere aiutato è un diritto. Lui da solo non ce la fa a far valere questo diritto. Ci vuole un’associazione. Nel caso dell’ultimo suicidio che ho in memoria (successo pochi giorni fa), si trattava di un agricoltore, proprietario di un’azienda danneggiata dal clima anomalo di questi mesi, l’alternanza sballata di caldo-freddo-neve-pioggia. L’annata è andata storta. Lui doveva pagare un mutuo. Non ce la faceva. È andato a parlare col sindaco, che gli dato un sacco di affetto ma non aiuti concreti, non poteva. Torna a casa e s’impicca. Il sindaco adesso, straziato anche lui, non si dà pace: «Non m’aveva detto che l’avrebbe fatta finita». È vero, ma questa gente non è disposta a confessare di non farcela più, di avere l’azienda in rosso: è una vergogna tale, che il dolore del suicidio è meno intollerabile. È un errore del loro cervello. La vita vale infinitamente di più. L’associazione nata per aiutarli ha anche degli psicologi. Il loro compito è chiarire subito questo errore.