La decisione del tribunale per i minori di Roma, sull’adozione all’interno di una coppia lesbo, che in dieci pagine spiega perché la compagna di una donna che ha avuto una figlia da fecondazione eterologa può adottare quella stessa bambina e diventarne anch’essa genitrice, è un grosso errore. Dieci pagine non servono a farne un errore raffinato, di fronte alla grezza evidenza dello sbaglio; e si capisce perché il procuratore capo ha impugnato la decisione, col secco e decisivo rilievo che è fuori d’ogni previsione di legge e che l’adozione presuppone uno «stato di abbandono» del minore che qui non c’è per nulla. Ora, dunque, se ne dovrà riparlare in sede di appello. Frattanto, non guasta che i giudici, e poi i parlamentari impegnati nella costellazione dei problemi Lgbt, e poi i comuni cittadini di uno Stato che si afferma come Stato di diritto, con un ordinamento scritto e non fantasticato, con giudici soggetti «solo alla legge» e liberi da tutto il resto, ma certo non con leggi soggette ai giudici e alla loro libera creatività, non guasta – dico – ripassare i fondamentali, cominciando dal punto specifico dell’adozione, ma anche riflettendo sul piano più generale, circa i nodi già vecchi e irrisolti delle relazioni fra i poteri dello Stato.L’adozione, nella legge, serve a dare una famiglia a un bambino che non ce l’ha, o che l’ha perduta, e che è in «stato di abbandono». Non è fatta per dare un figlio a chi non l’ha, e vuole averlo e non può generarlo. Così la legge cerca per i minori abbandonati una «famiglia», e per giunta una famiglia di speciale idoneità, e la vuole fatta di due coniugi sposati da almeno tre anni e non separati, e «affettivamente capaci di educare, istruire e mantenere» i figli, cioè di fare da madre e da padre esattamente con gli stessi compiti, e persino con la stessa formula tipica che è consacrata nella Costituzione. È una «filiazione». Non è una generazione, ma è una filiazione: giuridicamente resa identica a quella che deriva dalla generazione secondo la carne:
adoptio imitatur naturam si legge nel diritto romano antico, come sintesi sapienziale. Questa evidenza, così semplice e radicale, basta a far capire l’estraneità, prima ancora che l’assurdità, del tema dell’adozione di un bambino nelle vicende delle convivenze omosessuali. E se invece delle fantasie adulte centrate sull’
avere a dispetto dell’impossibile, si tenessero in cuore i diritti del bambino a
essere, cioè a essere accolto nell’abbraccio familiare (padre e madre) della generazione, o nell’abbraccio della filiazione adottiva (padre e madre di soccorso) sarebbe facile capire che inserire l’adozione fra gay o fra lesbo, oltre che strappo giuridico è una falsificazione sul piano antropologico.
Adoptio imitatur naturam, e la natura non si fa ingannare. È anche vero che la nostra legge consente al «coniuge» di chi ha già un figlio, di diventare genitore adottivo di quel figlio che non è suo ma dell’altro; ma si tratta di una estensione del vincolo familiare che tiene a caposaldo il coniugio, e la paternità e la maternità partecipata. Nella coppia omosessuale questo non può verificarsi. Il genitore raddoppiato (doppio maschio, o doppia femmina) non surroga il genitore mancante; e se un vincolo affettivo verso il bambino si valorizza, esso potrà semmai tener figura di qualche ipotesi di affido futuro, all’occorrenza, e non di filiazione.La natura non si inganna. Ma neanche gli italiani: secondo un recentissimo sondaggio più di due terzi sono contrari anche alla
stepchild adoption (un tipo di adozione speciale, che crea vincoli di parentela tra adottante e adottato e con nessun altro) di cui si va discutendo in una proposta di legge. E l’adozione omosessuale tout court, secondo più rilevazioni con risultati costanti nel tempo, vede contrario più dell’80% dell’opinione pubblica. Il Parlamento deve esserne consapevole, e deve tenere anche questo in giusto conto.Ma la sentenza, sul piano generale, offre una nuova occasione per affrontare con qualche serietà e dignità il nodo della "giurisprudenza creativa" che nei chiaroscuri dell’ordinamento giuridico, a volte caotico, a volte lacunoso, dà strada a interpretazioni soggettive che negano la certezza del diritto.