In gergo si chiama "shitstorm" ma è un eufemismo. Una gragnuola di minacce e insulti social. Manganellate digitali stavolta piovute sulla giurista e senatrice Pd Valeria Valente e su Paola Concia, intervistata da "Avvenire", solo per avere messo in dubbio l’opportunità di includere la misoginia tra i crimini perseguibili dalla legge Zan, già approvata alla Camera e in procinto di esame in Commissione Giustizia al Senato. Bordate di odio contro le donne per difendere il "no" all’odio alle donne. E non da bulli di quartiere, ma da amministratori locali ed esponenti di associazioni Lgbtq.
Va così da anni e se non ci sei abituata è dura, anche se all’odio non ci si abitua mai, specie se ti arriva da quelli che fino alla svolta dell’«utero in affitto» sono stati i tuoi fratelli. La triste storia dei perseguitati che diventano persecutori. Minoranze che il femminismo ha accompagnato nel loro percorso di liberazione. E che al primo dubbio e al primo "no" si rivoltano, anche con violenza. L’ascolto dato non viene ricambiato: e il non-ascolto delle donne è il primissimo sprezzo misogino.
Che da questa odiosa postura possa nascere una legge contro l’odio – operazione in sé già complessa – è poco credibile. I tentativi di riportare la discussione nell’alveo della civiltà sembrano andare a vuoto.
L’onorevole Zan, primo firmatario del ddl, si è confrontato perfino con le sex columnist<+TONDO50> di PlayBoy, oltre che col direttore di questo giornale, ottima cosa. Ma al femminismo ha sbarrato la porta, decidendo unilateralmente che quel femminismo è "residuale" e producendo una frattura difficile da sanare, proprio nel momento in cui il neosegretario del Pd Enrico Letta lavora per femminilizzare il partito.
Ma anche dai vertici del Pd i segnali sono deboli o nulli. Un appello per cambiare il testo del ddl Zan, sottoscritto, tra gli altri, da molti esponenti Pd, è stato ignorato. Eppure Letta dovrebbe rendersi conto che quel testo gli somiglia davvero poco. Può piacergli che le donne vengano intese come una minoranza, quando sono la maggioranza del Paese? O che ai genitori degli alunni non sia consentito di decidere, in base a un sacrosanto principio di libertà, se mandarli o meno al corso di formazione Lgbtq? Religione facoltativa, transcult obbligatorio? In Gran Bretagna, per esempio, hanno deciso che quei corsi nelle scuole non entrano più, visti i guai che ne sono nati. Per contro nei nostri licei sono in corso grand tour di propaganda alla gravidanza per altri. Già ora. Figurarsi dopo.
Sul tema della libera espressione del pensiero si è detto molto, ma le rassicurazioni restano insufficienti: Zan dice che la legge «Serve a instillare un atteggiamento di rispetto»; un’altra firmataria del ddl Alessandra Maiorino, ha dichiarato che parlare contro i "due padri" sarà crimine d’odio. Anche ammettendo le migliori intenzioni del legislatore: cosa capiterà quando la clava penale sarà armata? Procure intasate e totale discrezionalità dei giudici?
Perché, punto dirimente, su un oggetto indeterminato come l’«identità di genere», architrave del ddl, non vi è univocità scientifica né certezza del diritto. Un vulnus alla Costituzione: ogni cittadino e cittadina ha diritto di sapere con chiarezza che cosa prescrive la legge.
Qualche esempio sull’identità di genere: quando nel 2017 fu introdotta nel Canadian Human Rights Act, chi diede l’allarme fu sommerso dai fischi. Oggi in Canada c’è un padre in galera, Robert Hoogland, per aver opposto "troppa" resistenza all’ormonizzazione della sua bambina di 13 anni: «Voglio che mia figlia sappia che ho fatto davvero tutto il possibile, semmai tra 5 o 10 anni dovesse pentirsi». Sta patteggiando 18 mesi di libertà vigilata per scampare 5 anni di carcere. Un altro padre pacificamente anti-ormoni è stato pestato a sangue nel centro di Vancouver (filmato disponibile). Ancora Canada: le detenute si sono dovute armare di barattoli di zuppa infilati nei calzini per non subire violenza dai detenuti maschi che dichiarandosi "donne" sono stati trasferiti nelle carceri femminili (con stupri e gravidanze a seguire).
Allarme generale anche in California dove nelle ultime settimane quasi 300 detenuti hanno chiesto il trasferimento: i genitali non contano, dice la nuova legge, conta come ti identifichi. Dei maschi negli sport femminili si è parlato molto e invano, mentre in Norvegia – legge in vigore da appena 3 mesi – non puoi più dire che sono le donne a partorire: lo ha fatto la parlamentare Jenny Klinge ed è stata denunciata. In Australia, in Gran Bretagna e altrove, case-rifugio per le donne hanno perso i finanziamenti perché non accoglievano maschi disforici. Intanto il governo inglese visti i sondaggi di "The Times" (94% contro questa «identità di genere») ha chiuso la partita dell’autopercezione, mentre in Spagna anche il Psoe fa muro contro la Ley Trans voluta da Podemos.
Davvero il Pd non vede il problema? Non sarebbe il caso di parlarne a fondo anche a sinistra? Che cosa c’entra questa roba con il diritto delle persone Lgbtq a una vita buona e al riparo da ogni forma di sopruso, diritto per il quale in tante e in tanti abbiamo lottato?