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Con gli occhi rivolti al cielo grigio di Kiev, gli ucraini hanno onorato i loro caduti, promettendo di lottare «fino alla vittoria». Mentre Mosca ha fatto sapere che il mondo dovrebbe accettare «le nuove realtà territoriali». L’invasione è entrata nel secondo anno senza una fine in vista, ma la temuta rappresaglia russa non c’è ancora stata. I convogli militari sul lato bielorusso del confine a Nord non si sono mossi. E i missili russi sono rimasti nei tubi di lancio.
«Non ci resteranno per molto», dice una fonte diplomatica europea, piuttosto scettica sul percorso negoziale offerto dalla Cina, «che certo potrebbe procedere, ma intanto gli attacchi non si fermeranno perché nessuno vorrà sedersi al tavolo da una posizione di inferiorità». Nella commossa cerimonia in Piazza Santa Sofia, il presidente Volodymyr Zelensky ha conferito medaglie ai soldati e alla madre di uno dei caduti. Al momento dell’inno nazionale ha trattenuto le lacrime: «Siamo diventati una famiglia. Gli ucraini hanno accolto gli ucraini, hanno aperto le loro case e i loro cuori a coloro che sono stati costretti a fuggire dalla guerra», ha detto ringraziando la popolazione che resiste «a tutte le minacce, ai bombardamenti, alle bombe a grappolo, ai missili da crociera, ai droni kamikaze, ai blackout e al freddo».
Dal 24 febbraio 2022, solo a Kiev l’allarme aereo ha suonato 680 volte. Nella capitale oltre 700 edifici sono stati danneggiati tra cui 417 tra grattacieli e palazzi condominiali, 109 case private, oltre a 93 istituzioni educative. Tuttavia «quasi 6.000 alberi sono stati piantati in città, 24.852 coppie si sono sposate, sono nati 16.461 bambini: 8.507 maschi e 7.954 femmine», ha ricordato il sindaco Vitali Klitschko.
All’indomani dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che ha approvato una risoluzione per la cessazione delle ostilità e ha chiesto il ritiro delle truppe russe, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha proposto a Kiev che si tenga un vertice con «Paesi di tutti i continenti», un summit da tenere dopo che 141 Paesi hanno votato a favore della risoluzione, considerando le 32 astensioni come una opportunità «per trasformare questa neutralità in uno statuto di non neutralità nei confronti della guerra». Perciò ha confermato di lavorare per ottenere sostegno al suo piano di pace (che prevede il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina in conformità con la Carta delle Nazioni Unite) anche da Paesi dell’America Latina e dall’Africa.
Ancora una volta la presidenza ucraina ha ribadito la richiesta di maggiori armamenti occidentali e ha partecipato a un vertice online con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e altri leader del G7, che si sono impegnati a intensificare il sostegno all’Ucraina. «Ripeterò oggi quello che ho detto un anno fa quando la Russia ha invaso l’Ucraina», ha twittato Biden. «Un dittatore che vuole ricostruire un impero – ha scandito Volodymyr Zelensky – non cancellerà mai l’amore del popolo per la libertà. La brutalità non potrà mai distruggere la volontà dei liberi. E l’Ucraina non sarà mai una vittoria per la Russia». Washington ha annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari da 2 miliardi di dollari per l’Ucraina e una serie di ulteriori sanzioni che colpiscono le industrie minerarie e metallurgiche russe e le aziende di Paesi terzi accusate di fornire a Mosca beni soggetti a restrizioni.
Per tanti ucraini che hanno trascorso gran parte dell’anno nei rifugi e hanno sostenuto lo sforzo bellico, l’anniversario ha significato anche un momento di riflessione. Valentyna, 75 anni, lavora ancora in un negozio di Kiev. Non ha più nessuno: «Ho seppellito mio figlio, morto in combattimento. Quest’anno ho seppellito anche mio marito. Ed è molto, molto difficile».
Valentyna ora vorrebbe la pace, che per lei vuol dire l’arretramento dei russi oltre i confini e il termine delle ostilità. E mentre ne parla, guarda il filmato di un canale tv russo. Si vede una donna, anziana come lei, dire la stessa cosa: «Voglio davvero la pace, voglio davvero che tutto finisca il prima possibile». Entrambe si esprimono in russo, ma ormai parlano una lingua diversa. «Non vediamo l’ora che finisca con il nostro successo in Ucraina», conclude la signora intervistata a Mosca.
Decine di migliaia di civili e soldati ucraini di entrambe le parti sono morti da quando il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato l’invasione. Le forze ucraine, in inferiorità numerica e di armi, hanno respinto l’assedio a Kiev, riconquistando poi ampie porzioni dell’Est, che inizialmente l’Armata Rossa aveva conquistato travolgendo la debole resistenza. Poche settimane dopo l’esercito ucraino ha riconquistato ampie porzioni di territorio occupato. Tuttavia Mosca attualmente controlla circa un quinto dell’Ucraina.
Le ultime notizie dal campo di battaglia raccontano una guerra di logoramento, in attesa delle rispettive controffensive al momento rimandate in attesa che su entrambi i lati arrivino armi, uomini, e che si capisca se i principi enunciati dalla Cina possano far ottenere sviluppi negoziali. Gli “omini verdi” del gruppo Wagner, hanno affermato di avere catturato un altro villaggio alla periferia di Bakhmut, la piccola città mineraria nell’est che è al centro dell’offensiva di Mosca.
La Russia ha compiuto chiari, anche se lenti, progressi verso l’accerchiamento dell’abitato, ma non è riuscita a catturare l’insediamento urbano in tempo per consegnare a Putin una vittoria da annunciare in occasione dell’anniversario. L’Ucraina, da parte sua, sta aspettando nuove armi occidentali prima di iniziare un contrattacco. Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, in visita a Kiev, ha assicurato che un primo lotto di quattro carri armati tedeschi Leopard - tra le decine promessi - sono già in Ucraina. Perché il negoziato è ancora una chimera, ma la guerra resta l’unica terribile certezza.