La Francia è pronta a regolamentare con una circolare ministeriale la trascrizione anagrafica dei bambini nati con surrogazione di maternità all'estero. La notizia, rilanciata da France Info, è stata poi attenuata dallo stesso governo, che però non chiarisce quale sia la reale portata della imminente circolare.
Se c’è un argine – per quanto fragile – alla pratica dell’utero in affitto, ebbene, quell’argine sta per cadere. Non si tratta di discriminare i bambini, già privati del diritto di godere dell’amore di chi li ha portati in grembo per nove mesi, cancellato per contratto, ma di salvaguardare un principio di verità contro ogni finzione. La maternità surrogata non può, non deve, essere un modo accettabile per conquistare un figlio o, meglio, il diritto al figlio.
È un paradosso che nel Paese il cui governo è il più impegnato in Europa a combattere l’utero in affitto praticato all’estero – la Spagna – la trascrizione anagrafica di entrambi i «genitori d’intenzione» sia automatica. Oggi sappiamo che la Francia – a parole ugualmente ostile – seguirà la stessa strada. L’Italia resiste disordinatamente, con uffici anagrafe che accettano la trascrizione, altri che la respingono e tribunali che decidono in loro vece. L’argine cadrà presto anche da noi? Possibile, ma non scontato. Lo scorso maggio la Cassazione a Sezione Unite ha pronunciato una parola forte, un «no» deciso alla trascrizione dei figli nati da Gpa all’estero, in nome di un principio di civiltà qual è il divieto di affittare l’utero di una donna. Un divieto «posto a tutela della dignità della gestante e dell’istituto dell’adozione», scrisse la Corte Suprema. Con questo non si vuole suggerire di gettare via il bambino insieme all’acqua sporca.
L’interesse del neonato è preminente, sempre e comunque. E dunque è giusto individuare una strada per rendere chiara e stabile, per quanto all’origine menzognera, la sua condizione di figlio. Ma l’attenzione all’interesse del bambino deve anche riguardare il «prima»: la sua dignità non è forse violata quando diventa merce e oggetto di desiderio dei «committenti»? La «giustizia del giorno dopo» può forse riparare i cocci di ciò che gli uomini hanno rotto (la figura della madre, la sua fondamentale relazione simbiotica con il figlio non ancora nato) ma non impedisce che quell’ingiustizia sia prodotta ancora. Anzi, può persino incoraggiarla.