Con il gelo potrebbe cristallizzarsi anche la guerra in Ucraina, con una nuova cortina di ferro - Reuters
È lecito azzardare previsioni in guerra? I conflitti risentono di tanti fattori. La storia militare coreana ce lo insegna. Ha fluttuato di continuo. Fra il 1950 e il 1953, Seul ha cambiato padrone tre volte. E la guerra non si è mai risolta, cristallizzandosi su una linea armistiziale.
Tira forse aria di 38esimo parallelo anche in Ucraina? La settimana prossima, le temperature torneranno sotto zero in tutto il Paese. Al terreno fangoso subentrerà il ghiaccio, preludio a offensive manovrate. Kiev si dice ottimista. Scommette sui carri armati che potrebbero arrivare dall’Occidente. Gli inglesi hanno già infranto il tabù, ma il sogno ucraino sono i Leopard tedeschi e gli Abrams americani. Washington nicchia e, senza una prima mossa americana, Berlino non muoverà un passo.
Rimane Varsavia, intenzionata a cedere i suoi carri teutonici anche senza il placet tedesco. Con una piccola precisazione: non esistono al mondo armi miracolose. Volendo essere realisti, prima di un anno o due, l’esercito ucraino non potrà allestire più di una-due brigate di carri mirabolanti, sottoequipaggiate. Siamo sicuri che riuscirà a massimizzarne l’efficacia?
Finora è stato più abile del nemico nella guerra di movimento, ma non abbiamo visto offensive interarma su vasta scala, uniche in grado di sovvertire un quadro problematico. Per guerreggiare, i carri non bastano. Vanno supportati da blindati, trasporti veloci, semoventi d’artiglieria, difese aeree corpose e sistemi da guerra elettronica. Capacità che mancano agli ucraini.
Nemmeno la dottrina d’impiego di Kiev permette di integrare tank occidentali. Bisognerebbe prima aggiornarla, altrimenti non c’è obiettivo che tenga, tanto meno riprendersi la Crimea, fantasticherie americane a parte. Il recente crollo di Soledar suona da monito. Dimostra che Mosca sovrasta ancora Kiev per riserve di uomini spendibili (3 a 1) e cannoni (2 a 1).
Ci permettiamo di dire che agli ucraini non servono tanto i tank. Stanno agonizzando sul piano dei proiettili per obici e mortai, che stanno facendo la differenza al fronte. Certo, sono calanti anche le scorte russe ma, nel 2017, il Cremlino ha scongelato 1,7 milioni di tonnellate munizioni sovietiche, aggiornandole. Oggi riesce a sparare seimila colpi di artiglierisa al giorno. Gli ucraini non superano i tremila. Di questo passo, perderanno anche Bakhmut, il loro antemurale a difesa di Kramatorsk e Slovianks. Se non girerà il vento, entro aprile, il Donetsk potrebbe tingersi di rosso.
A breve, Il Cremlino comincerà a ricevere anche armi nordcoreane, che si sommeranno ai container in arrivo dalla Bielorussia e alle forniture patrie. Potrebbe minacciare nuovamente Izium e Barvinove, perse in estate, e stringere in una tenaglia il Donbass. Getterà nella mischia i 250mila riservisti mobilitati a novembre e gira voce che Putin richiamerà a breve altri 500mila uomini. Punta imperterrito agli obiettivi minimi della sua folle guerra d’inverno: sgombrare il Donbass dagli ucraini e conservare il sud.
Sarà qui che correrà forse la nuova cortina di ferro fra Est e Ovest. Allora sarà possibile un armistizio. Il conflitto si attenuerà, come fra il 2015 e il 2021. È questo lo scenario più probabile, perché nessuno ha i mezzi per osare oltre, né a Mosca, né a Kiev.