Gamlet Zinkivskyi è nato 36 anni anni fa a Kharkiv. È uno street artist conosciuto al livello internazionale, ha esposto le sue creazioni da Lima a Londra - Capuzzi
Quando il vento, all’improvviso, trasforma la primavera afosa di Kharkiv in autunno, uno strato di polvere sottile si appiccica agli occhi, al naso, alle labbra. Sono le briciole di cemento, calce, vernice che si alzano senza sosta dalle onnipresenti macerie.
Brandelli di quella che, fino al 24 febbraio, era uno dei gioielli architettonici dell’Ucraina. Capace di sintetizzare in un abbraccio visivo palazzi sinuosi di era zarista con edifici marziali in stile sovietico. Perfino al mastodontico quartier generale dell’amministrazione regionale, di fattura stalinista, un missile russo, lanciato all’alba del primo marzo sulla piazza dell’Indipendenza, ha amputato un’ampia porzione.
Per evitarle la stessa sorte, la statua del poeta nazionale Taras Shevchenko, nell’omonimo parco, è stata foderata con un maxi-rivestimento. Secondo le autorità locali, almeno 68 strutture storiche sono state colpite. Ventotto di queste in modo grave, sostiene l’Unesco.
«Ricostruiremo e faremo di meglio», dice, con inspiegabile compostezza, Gamlet Zinkyvsky. Trentasei anni non ancora compiuti, capelli rasati, un groviglio di catene al collo e anelli alla mano sinistra, il giovane artista conosce una per una le facciate sbilenche, i portoni a metà, i buchi sui muri.
Bomboletta alla mano, percorre ogni giorno i «luoghi feriti» di Kharkiv. E là dipinge i suoi murales.
«Perché? L’ho spiegato in uno dei miei ultimi lavori». Alle spalle della piazza della Costituzione, si apre la strada che s’arrampica sulla collina: là, sulla parete ammaccata di un grande magazzino, Gamlet ha disegnato «un sacco di possibilità». Un grande sacchetto beige spicca sullo sfondo nero.
«È come vedo questo momento per la mia città e il mio Paese. Amo Kharkiv ed è duro vederla così. L’Ucraina, però, è più viva che mai. Prima del 24 febbraio, tanti di noi si limitavano a sopravvivere. Chiusi nel proprio mondo, guardavano la realtà dalla finestra. Ora quelle stesse persone cucinano per gli sfollati, fanno evacuare i civili dai villaggi sotto attacco, accolgono in casa propria i rifugiati. Nella tragedia, invece di cedere alla rassegnazione, hanno trovato loro stessi nell’aiutare gli altri. Fino a quando conserveremo questa energia vitale, le bombe non potranno distruggerci. Con la stessa forza, rifaremo Kharkiv più bella».
L’esistenza, umana e artistica, di Gamlet è marchiata dal conflitto. «Quest’ultimo non è iniziato poco più di tre mesi fa. Va avanti dal 2014». All’epoca Zinkyvsky – che dipinge da quando aveva 17 anni – voleva trasferirsi a Parigi. La crisi l’ha spinto a restare. Da allora, guerra e resistenza sono diventati i temi cardine dei suoi lavori.
«Ho capito che dovevo fare qualcosa. E ho iniziato a fare il volontario. Ho raccolto aiuti per i profughi, ho fabbricato reti protettive per trincee, ho trascorso alla stazione una notte alla settimana per un anno e mezzo in attesa del treno con i soldati di ritorno dal Donbass a cui offrivo tè caldo e caffè. Ho sentito storie così forti che non potevo tenerle per me. Dovevo trasformarle in disegni per condividerle. Questo, ad esempio, l’ho fatto oltre tre anni fa...».
Dalla vetrata di un caffè del cento spunta un grande reticolato nero su fondale bianco. «In Ucraina diciamo che sei fai qualcosa di buono avrai un “+” sul tuo karma. Ma non devi farlo per quello, se no diventa una prigione...», spiega lo street artist che, nel giro di poco tempo, è stato conosciuto a livello internazionale.
Dall’altra parte della via, su un muro crepato dai recenti ordigni russi, una vyshyvanka – camicia tipica ucraina –, rivestita da una rete mimetica, è la prima opera della «fase 2» dell’esperienza di Gamlet. Quella da artista in divisa. «Il primo giorno dell’invasione, l’ho trascorso nel sottopassaggio della metro con la mia famiglia. Nella settimana successiva, i bombardamenti erano costanti, così ho deciso di portare via i miei genitori, mia sorella, mio nipote e mio figlio. Siamo andati a Ivano-Frankivsk. Sono rimasto là per quasi due mesi, raccogliendo soccorsi umanitari, fino a quando mia chiamato un vecchio amico».
Era il comandante del battaglione Kartia. «Mi ha detto: Gamlet, sei rimasto troppo a lungo a Ivano-Frankivsk. Torna a Kharkiv e arruolati. Gli ho risposto che non avevo alcuna esperienza». Ha risposto: «Non dovrai usare le armi, ma la bomboletta». Da allora il compito del «soldato Gamlet» è stato quello di lenire le lacerazioni della città e dei suoi monumenti. «Non mi sembra vero. L’intera Kharkiv è la mia galleria. E dire che da ragazzino avevo sempre problemi con la polizia per i miei murales...» e sorride mentre mostra il simbolo del battaglione cucito sulla maglia.
Gamlet ha esposto in numerosi Paesi europei, Italia inclusa, negli Stati Uniti e in America Latina. «Eppure, nessuna soddisfazione è paragonabile a quando la gente si avvicina e mi dice: “Bravo, il tuo dipinto mi ha fatto sorridere. Vai avanti, è importante”. L’arte non può cambiare la realtà. Ma la riempie di speranza».
Nel centro di Kharkiv, ancora deserto, la “firma” di Gamlet è ovunque. Le sue creazioni – rigorosamente in bianco e nero, «perché l’essenza non si trova nel colore ma nel significato» – sono inconfondibili. La gran parte, l’artista le completa in un’ora. Una di quelle a cui più affezionato, si trova in un angolo nascosto: il giardino interno di un condominio basso, trasformato in mensa per i tanti senza più soldi per comprare il cibo. Accanto alla finestra, Gamlet ha disegnato una catena di sagome umane intenta a passarsi l’un l’altra dei pacchi. «Siamo noi ucraini ora: solo dandoci la mano possiamo affrontare questa catastrofe».