sabato 21 dicembre 2024
Il 78 per cento si dice stressato, una percentuale mai così alta da quando il governo ha iniziato a testare, nel 1981, il livello di ansia. Quando la pressione sociale diviene insostenibile
Il 78 per cento dei giapponesi soffre di ansia

Il 78 per cento dei giapponesi soffre di ansia - ANSA

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Una società dello stress. Investita, attraversata e dominata dall’ansia. L’autoritratto che i giapponesi fanno della loro condizione è impietoso: il 78 per cento si dice preda dell’ansia, una percentuale mai così alta da quando il governo nipponico ha iniziato a testare, nel 1981, il livello di ansia di cui soffre la popolazione. Da quali preoccupazioni si sentono stritolati i giapponesi? A pungere sono, in particolare, i timori “sulla propria salute, citata dal 63,8% degli intervistati, seguita dai piani per la vita dopo la pensione, scelti dal 62,8% e dalle prospettive per il reddito e i beni futuri, testimoniate dal 58%”. Il 28,1% degli intervistati pensa che il proprio tenore di vita si collochi nella fascia medio-bassa della popolazione generale, il livello più alto in 35 anni, nota il Japan Times.

Quello dell’ansia sembra essere un male proteiforme, cangiante che si manifesta in vari modi nella cultura e nella vita giapponese. Non a caso, il filosofo tedesco di origini sudcoreane Byung-Chul Han, ha bollato la nostra come «la società della stanchezza», una società nella quale l’imperativo a produrre e a consumare finisce per stritolare l’individuo e imporsi come una forza totalizzante, infiltrando ogni aspetto dell’esistenza. Se è vero che il malessere sociale diffuso sembra appartenere a tutte le società avanzate, in Giappone – una cultura della vergona come è stata definita, - questa capillarità assume contorni particolari. E inquietanti. Il più noto è il fenomeno del ritiro dalla vita sociale, che si manifesta in una sorta di diserzione dalla vita sociale e affettiva di fronte a una pressione percepita come insostenibile.

Si stima che nel Paese siano 1,46 milioni le persone che scelgono di vivere come hikikomori (vale a dire “eremiti” moderni). Un giapponese su 50 si reclude volontariamente. Il loro numero è in continuo aumento. Nel 2016 erano “solo” 514.000 hikikomori; 613.000 tre anni dopo. Per il 21,5 per cento a spingere all’auto reclusione è la perdita o le dimissioni dal lavoro (21%), mentre il ritiro dalla vita sociale dura tra i 3 e i 5 anni per il 17,4%.

A rendere così vulnerabili allo stress concorre un mix di cause che preme sull’intera esistenza: “il sistema educativo altamente competitivo segnato da una forte enfasi sul rendimento scolastico. Sul posto di lavoro, lunghe ore e rigide strutture gerarchiche possono creare un ambiente stressante ed esigente. Anche la pressione sociale per conformarsi ai ruoli di genere e per mantenere un'immagine pubblica positiva contribuisce a questo senso di pressione”.

Ancora più estremo è Il fenomeno delle "persone evaporate” (Jouhatsu): dalla metà degli anni '90, si stima che almeno 100.000 uomini e donne giapponesi scompaiano volontariamente ogni anno. Secondo un sondaggio condotto dal Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare nel 2016, oltre il 90% delle aziende giapponesi ha segnalato casi di dipendenti scomparsi senza preavviso. La cause indicate come responsabili delle sparizioni? Difficoltà finanziarie, problemi relazionali e stress correlato al lavoro. Una "diagnosi" che non ci è estranea.


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