L'ex basilica di Santa Sofia a Istanbul - Reuters
La madre di tutte le battaglie che, in periodo di crisi economica, serve anche come arma di distrazione di massa. Il prossimo 2 luglio, il consiglio di Stato turco deciderà se l’ex basilica di Santa Sofia di Istanbul, diventata moschea dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453 e trasformata in museo nel 1935, ria- prirà al culto islamico, coronando così un sogno che il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan accarezza da tempo. La questione divide l’opinione pubblica, dentro e fuori i confini nazionali. La Grecia e la Chiesa ortodossa russa sono sul piede di guerra, perché giudicano il gesto della Mezzaluna un atto di prevaricazione con un chiaro motivo religioso.
Una parte dell’opposizione ha accusato il capo di Stato di utilizzare l’ormai annosa questione della riapertura di Santa Sofia come moschea come mezzo per non fare pensare troppo alla crisi economica che sta attraversando il Paese e che potrebbe peggiorare nei prossimi mesi. Oltre a offrire un diversivo rispetto all’emergenza Covid- 19, che ha fatto quasi 4.800 vittime e 175mila contagiati. Sta di fatto che da Ankara le reazioni non sono mancate, forti anche di un sondaggio pubblicato dal quotidiano filogovernativo Yeni Shafak, secondo il quale il 73 per cento dei turchi sarebbe favorevole a fare tornare l’ex basilica, che esercita ancora un grande effetto simbolico su tutta la cristianità, una moschea. Il presidente è pronto a giocarsi questa battaglia fino all’ultimo, conscio del fatto che, se la Danistay, ossia il consiglio di Stato turco, deciderà di dargli ragione, sarà scardinato anche l’ultimo legame con la Turchia moderna e laica creata da Mustafa Kemal Ataturk. Fu quest’ultimo, nel 1935, a trasformare Santa Sofia in un museo, proprio perché voleva togliere all’edificio qualsiasi connotazione che potesse dare luogo a scontri religiosi. Il provvedimento è sempre stato mal visto dalla popolazione, al 95 per cento di fede musulmana. Da quando ha preso il potere, Erdogan ha cominciato a mandare segnali sempre più concreti, organizzando preghiere di gruppo nei giardini antistanti il monumento, che è anche iscritto nella lista dei patrimoni Unesco per l’umanità. Lo scorso 29 maggio, in occasione del 567mo anniversario della caduta di Costantinopoli, è caduto, seppur in modo parziale, l’ultimo tabù, con la lettura della conquista del Corano all’interno dell’ex Chiesa. Segno che questa volta il presidente è più determinato che mai.
La parola, ora, passa al Consiglio di Stato, la cui composizione, però, è cambiata molto negli ultimi anni e che, soprattutto dopo il fallito golpe del 2016, è sempre più sotto controllo diretto del presidente della Repubblica. Atene aveva lanciato l’allarme alla fine del mese scorso, chiedendo all’Unesco di intervenire. Ma nelle ultime ore, il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu è intervenuto con forza sulla vicenda. «Non è affatto una questione internazionale, è una questione di sovranità nazionale». Ancora più diretto il presidente Erdogan, secondo il quale nessuno deve intromettersi su quello che è un affare interno della Turchia. Fino a questo momento al capo di Stato è sempre andata male. Nei giorni scorsi il suo partito – l’Akp – il partito per la Giustizia e lo sviluppo ha votato contro uno studio di fattibilità per valutare la conversione di Santa Sofia. Una decisione che ha sorpreso, ma solo fino a un certo punto. Un parere positivo del consiglio di Stato sarebbe più inattaccabile, almeno sulla carta. Le tre settimane davanti, insomma, potrebbero essere le ultime di Santa Sofia nel suo “status” neutro. Il tempio, potrebbe subire la sorte di un’altra ex basilica bizantina, a Trebisonda, sul Mar Nero, dove le pareti sono state coperte con lenzuoli per coprire mosaici e affreschi secolari. Alcuni analisti, poi, ritengono che quello del presidente potrebbe trasformarsi in un clamoroso autogol. Con la conversione dell’ex basilica in moschea, a Erdogan verrà a mancare un argomento importante per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica da argomenti decisamente più scomodi.