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Sostenitori del Pkk radunati l'altro giorno a Qamishli, città turca a maggioranza curda, per ascoltare il messaggio di Ocalan dal carcere - Ansa
Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), che ha un'ala armata e che la Turchia considera un'organizzazione terroristica, ha annunciato il cessate il fuoco con Ankara. L'annuncio segue l'appello del leader e fondatore, Abdullah Ocalan, che dal carcere aveva chiesto di abbandonare le armi e sciogliersi.
L'organizzazione separatista curda sarebbe pronta a convocare un congresso che sarebbe avviato a sancirne lo scioglimento. Due giorni fa Ocalan, dal carcere di massima sicurezza in cui è rinchiuso dal 1999, ha inviato una lettera in cui dichiarava il Pkk "a fine ciclo". "Condividiamo il contenuto del comunicato e rendiamo noto che come organizzazione ci uniformeremo a quanto chiesto nell'appello. A partire da oggi annunciamo un cessate il fuoco che per noi è valido e in vigore. Siamo pronti a convocare un congresso per rispettare il processo democratico e chiediamo che le condizioni politiche siano favorevoli", si legge nel comunicato firmato dal "Comitato reggente" del Pkk, l'organo deputato a prendere le decisioni in seguito alla carcerazione di Ocalan.
Il cessate il fuoco segna la fine di quarant'anni di scontri con Ankara. Un conflitto costato la vita a 50mila persone, iniziato nel 1984 e che ha conosciuto un'unica tregua, tra la fine del 2012 e l'estate del 2015.
La decisione avrà ripercussioni sulle altre organizzazioni curde della regione: il popolo curdo è stanziato tra i confini di Turchia, Iran, Iraq e Siria. Nel nord dell'Iraq è organizzato nella provincia autonoma del Kurdistan iracheno, in Siria le potenti milizie delle Forze democratiche siriane (Fds) non hanno invece deposto le armi come chiesto dal nuovo governo dell'Hts dell'ex jihadista al-Sharaa (al-Jolani) che nel dicembre scorso ha rovesciato il regime di Assad a Damasco. Mazloum Abdi, leader delle Fds, ha dichiarato che lo scioglimento dell'ala armata del Pkk non significa lo smantellamento delle difese curde lungo l'Eufrate, che avrebbe per conseguenza la resa dei combattenti curdi agli ascari arabo-siriani alleati della Turchia riuniti sotto le insegne dell'Esercito nazionale siriano, una milizia non controllata da Sharaa ma direttamente da Ankara.
Da parte sua, Sharaa cerca di smarcarsi in parte dall'influenza turca. Finora ha respinto l'offerta delle Fds di integrarsi come corpo militare autonomo nel nascente esercito regolare siriano. I curdo-siriani si dicono favorevoli a una Siria unita, ma chiedono di mantenere gli ampi i margini di autonomia politica, energetica e culturale conquistati sin dal 2012 e difesi aspramente durante la guerra contro l'Isis dal 2014 al 2019.
In tutto questo, determinante è il ruolo degli Stati Uniti. Le forze curde temono che un eventuale ritiro militare americano li renda ancora più esposti agli appetiti della Turchia. Per questo, una delle carte negoziali brandite dalle Fds è quella della gestione dei campi di prigionia di al Roj e al Hol, dove dal 2019 si trovano circa 20mila civili siriani, accanto ad altre decine di migliaia di iracheni e di altre 50 nazionalità. Più volte nelle ultime settimane le autorità curde di Siria hanno minacciato di aprire i cancelli dei campi di al Hol e Roj, sperando così di impensierire gli Stati Uniti e altri Paesi che temono una recrudescenza dello Stato islamico (Isis/Daesh) tra Siria e Iraq. La Turchia ha più volte detto di esser pronta a gestire i campi di prigionia del nord-est siriano. La posta in palio è alta.