Parte con forza il nuovo pressing americano contro Damasco. Mercoledì sono entrati in vigore i provvedimenti economici adottati dall’Amministrazione di Trump in base al Caesar Syria Civilian Protection Act (meglio noto come Caesar Act) che autorizza dure sanzioni economiche contro l’establishment siriano e i suoi alleati. «Chiunque farà affari con il regime di Assad, dovunque si trovi nel mondo, è soggetto a restrizioni di viaggio e sanzioni finanziarie», ha affermato il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, assicurando che sono in preparazione «molte altre sanzioni».
«Non ci fermeremo – ha avvertito il capo della diplomazia americana – fino a quando Assad e il suo regime non avranno posto fine alla loro guerra inutile e brutale contro il popolo siriano e il governo siriano non avrà accettato una soluzione politica». Tra i nominativi citati nel comunicato diffuso dal Dipartimento di Stato americano figurano quello del presidente siriano, della moglie Asma, del fratello Maher (comandante delle truppe di élite della potente quarta divisione corazzata) e di noti uomini d’affari siriani vicini al regime. È la prima volta che la first lady, considerata per molto tempo il “volto umano” del regime, figura in un elenco di soggetti a sanzioni.
L’inviato speciale dell’Onu in Siria, Geir Pederson, ha messo in guardia da una possibile carestia nel Paese. I nuovi provvedimenti assegnano, infatti, un durissimo colpo a un’economia già in ginocchio dopo nove anni di conflitto. Da aprile, la lira siriana ha perso oltre il 70 per cento del proprio valore rispetto al dollaro. Negli ultimi giorni il tasso di cambio è passato da 2.300 lire siriane per un dollaro a 5 mila lire, ben lungi dal cambio ufficiale di 700 lire. Il vertiginoso deprezzamento della valuta nazionale ha innescato un aumento dei prezzi dei beni di maggior consumo di oltre il 50 per cento. Il Caesar Act permette tuttavia le importazioni di alimenti essenziali e l’ingresso in Siria degli aiuti umanitari destinati alla popolazione civile. Allo stesso tempo prevede un controllo molto rigido sugli aiuti delle Nazioni unite e delle Ong per garantire che «non stiano avvantaggiando» gli apparati di potere. La legge considera inoltre la Banca centrale siriana una «struttura di riciclaggio» e prende di mira anche coloro che hanno a che fare con rappresentanti russi e iraniani a Damasco, che sarebbero da escludere dai futuri progetti di ricostruzione della Siria. Delle sanzioni risentirà sicuramente un Libano già strangolato dalla propria crisi economica, che non potrà più importare dalla Siria una quota del suo fabbisogno di energia elettrica.
Nei guai è finito anche il capo del ramo rivale del clan Assad. Un tribunale francese ha condannato ieri l’82enne Rifaat al-Assad, zio di Bashar, a quattro anni di carcere e alla confisca del suo patrimonio in Francia, pari a 90 milioni euro. Rifaat aveva guidato negli anni Ottanta le spietate Brigate della Difesa, note per aver represso nel sangue l’insurrezione della città di Hama, prima di entrare in rotta di collisione con il fratello Hafez e scegliere di vivere in Europa dove ha costruito un impero immobiliare stimato attorno ai 900 milioni euro.