Un anno fa, quando Donald Trump prese la parola per la prima volta all’Assemblea generale dell’Onu, il mondo si chiedeva con apprensione come la sua teoria di «America per prima» si sarebbe declinata sui temi che calamitavano con urgenza l’attenzione internazionale. Dodici mesi più tardi, la risposta è chiara. Gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Accordo sul clima di Parigi, hanno abbandonato il Consiglio Onu per i Diritti umani di Ginevra, l’accordo nucleare iraniano e l’Unesco.
Si sono rifiutati di sottoscrivere un’intesa mondiale sulle migrazioni e hanno tagliato i finanziamenti al Fondo Onu per la popolazione e all’agenzia di aiuto ai rifugiati palestinesi. Washingotn ha anche limitato i fondi dedicati al mantenimento della pace, e il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale Usa, John Bolton, ha recentemente cercato di indebolire il funzionamento della Corte penale internazionale. (Alla quale gli Usa già non aderiscono). Allo stesso tempo l’Amministrazione Trump ha iniziato una guerra commerciale con la Cina e ha suggerito che gli Stati Uniti potrebbero ritirarsi dall’Organizzazione mondiale del commercio. Quando il presidente americano prenderà la parola al Palazzo di Vetro, martedì, in pochi si aspettano una svolta nel neo-isolazionismo statunitense.
Ma analisti e leader mondiali cercheranno di “leggere” le parole del tycoon, sia durante il suo intervento che nei suoi vari incontri bilaterali, per capire cosa aspettarsi dalla prima potenza della Terra sui temi che domineranno il dibattito d’apertura della 73esima Assemblea generale. Trump si troverà anche a dirigere il suo primo Consiglio di sicurezza, la cui presidenza spetta ora agli Usa, e ha già fatto sapere che dedicherà la riunione alle armi di distruzione di massa: vale a dire a Iran e Siria. Trump lo scorso anno aveva etichettato la Repubblica Islamica come una «dittatura corrotta» che sostiene il terrorismo.
E la scorsa settimana Nikki Haley, ambasciatore Usa all’Onu, ha preparato il terreno per il suo capo accusando Teheran «di aver calpestato la sovranità dei suoi vicini», incluso l’Iraq. Probabilmente il capo della Casa Bianca ribadirà martedì che l’Iran non ha mai adempiuto all’accordo del 2015 teso a ridimensionare il suo programma nucleare in cambio di un alleggerimento delle sanzioni economiche. Una posizione cara alla sua base negli Usa e al mondo arabo, ma destinata a infastidire ulteriormente gli alleati europei. Ma Trump potrebbe anche sorprendere gli osservatori incontrando a New York il presidente iraniano Hassan Rohani.
Di certo il presidente Usa incontrerà il presidente della Corea del Sud Moon Jae-in per decidere quando avere un secondo faccia a faccia con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un. Un cambio di tono radicale rispetto allo scorso settembre, quando Trump minacciò di «distruggere totalmente» il Paese. Ma anche una scommessa rischiosa, soprattutto alla luce dei rapporti d’intelligence che assicurano che, nonostante le vaghe promesse di denuclearizzazione, Pyongyang continua ad adoperarsi per produrre una bomba atomica. Sullo sfondo resta la drammatica situazione in Siria, dove l’Onu ha avvertito che potrebbe verificarsi la «peggiore catastrofe umanitaria» del secolo se, come molti temono, le forze governative siriane cercheranno di riconquistare, con la copertura russa, la provincia ribelle di Idlib, dove vivono tre milioni di civili.
«Tre milioni di persone dirette verso il confine turco è uno scenario che supera di gran lunga la capacità di tutte le organizzazioni umanitarie messe insieme», ha detto il coordinatore umanitario regionale delle Nazioni Unite per la crisi siriana, Panos Moumtzis. Con il ministro Sergeij Lavrov non sono previsti faccia a faccia, ma il “convitato di pietra” Vladimir Putuin sarà al centro di ogni scenario. Come il cinese Xi Jinping. Al Palazzo di Vetro (dove mercoledì interverrà per la prima volta anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte) si parlerà anche di un’altra crisi: le atrocità subite dalla popolazione Rohingya nel Myanmar. Il segretario generale Onu Antonio Guterres ha chiesto che i generali del Myanmar siano ritenuti responsabili di «una delle peggiori crisi umanitarie e dei diritti umani del mondo », descritta con spaventosi dettagli da una recente indagine dell’Onu.
Il rapporto conclude che la leadership militare del Paese deve essere messa a processo per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, una posizione sottoscritta dagli Stati Uniti, mentre la Cina ha sollecitato un approccio più morbido. Sarà invece la neopresidente dell’Assemblea generale, Maria Fernanda Espinosa, a presentare al consesso il tema delle migrazioni, proponendo che gli Stati membri elaborino un insieme di regole per proteggere gli immigrati, piuttosto che porre l’accento sulla difesa dei loro confini. «La storia dell’umanità riguarda le persone che si spostano da un luogo all’altro – ha detto –. Penso che la sfida sia quella di stabilire una migrazione ordinata, prevedibile e sicura per tutti».