«Non cederemo mai la sovranità dell’America a una burocrazia globale non eletta e non responsabile. Rifiutiamo l’ideologia del globalismo e abbracciamo la dottrina del patriottismo ». Chi sperava che, un anno dopo aver illustrato alle Nazioni Unite la sua dottrina della «America per prima» Donald Trump avrebbe teso una mano alla comunità internazionale chiaramente si è sbagliato. Al suo secondo intervento all’Assemblea generale dell’Onu, il presidente Usa ha ribadito l’isolazionismo che l’ha già portato a ritirarsi dall’Accordo sul clima di Parigi, dal Consiglio per i diritti umani di Ginevra, dall’accordo nucleare iraniano e dall’Unesco. Il capo della Casa Bianca ieri si è rifiutato di riconoscere la Corte penale internazionale e ha risposto negativamente alla proposta di identificare regole internazionali per gestire le grandi migrazioni.
«Ogni Paese presente in questa Assemblea deve potere gestire le migrazioni secondo le proprie politiche e i propri interessi, e gli Stati Uniti vogliono fare lo stesso», ha dichiarato, prima di ribadire il suo fermo no a trattare con l’Iran, che ha definito una «dittatura corrotta dagli scopi sanguinosi» che il resto del mondo dovrebbe isolare, come hanno fatto gli Usa, salvo poi affermare che crede che «a un certo punto ci sarà un accordo» con Teheran.
Nel frattempo, «ulteriori sanzioni entreranno in vigore il 5 novembre e ne seguiranno altre». Una sfida alla quale il presidente della Repubblica islamica Hassan Rohani ha risposto poco più tardi, dallo stesso podio, denunciando il ritiro Usa dall’accordo sul nucleare come «una violazione delle leggi internazionali», ma anche invitando Washington a «tornare al tavola negoziale che ha lasciato». «Le sanzioni Usa sono terrorismo economico», ha detto Rohani, accusando l’amministrazione Trump di voler rovesciare la leadership di Teheran. L’unilateralismo de- scritto dal leader statunitense non lascia però spazio, almeno per il momento, a possibilità di intese internazionali di ampio respiro.
Trump ha ribadito ancora una volta di preferire che gli Stati Uniti mantengano la libertà di entrare e uscire a piacere dalle intese politiche e commerciali strette in precedenza e di imporre il loro peso economico e militare sui singoli Paesi con i quali devono confrontarsi. Per dimostrarlo, il tycoon ha letto un lungo elenco di successi che, a suo parere, questo approccio gli ha già assicurato. Come un aumento della ricchezza americana, una riduzione della disoccupazione Usa, forti progressi nella denuclearizzazione della penisola coreana e persino nel processo di pace in Medio Oriente, grazie al suo spostamento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, che il mondo arabo ha condannato come una provocazione. «Progressi incredibili», insomma, nella riduzione delle minacce globali che lo hanno spinto a concludere che in meno di due anni la sua Amministrazione ha ottenuto più risultati di qualsiasi altra nella storia degli Usa.
Un commento che ha suscitato risate sommesse fra i leader raccolti nell’aula dell’Assemblea generale del Palazzo di Vetro. «Non mi aspettavo questa reazione », ha risposto sorpreso Trump. Per nulla intimidito, il capo della Casa Bianca ha continuato affermando che gli Stati Uniti sono più forti, sicuri e ricchi ora di quanto lo fossero quando ha assunto l’incarico. Quindi ha passato in rassegna le sue esperienze degli ultimi 20 mesi circa, classificando i diversi Paesi con i quali ha avuto a che fare in «buoni» e «non buoni».
Nella prima categoria ha inserito solo India, Arabia Saudita e Polonia. Il secondo raggruppamento conta invece, in buona compagnia, Iran, amici dell’Iran, Nicaragua, Venezuela, Paesi Opec, Siria, e, in generale «i Paesi che non rispettano l’America». Fra questi Trump ha citato anche Cina e Germania. Nuove risate, più contenute, hanno accolto la certezza del presidente Usa che «come al solito, le nazioni dell’Opec stanno spremendo il resto del mondo. Non mi piace, a nessuno dovrebbe piacere. Noi difendiamo queste nazioni senza ottenere nulla in cambio e loro si approfittano di noi con l’alto prezzo del petrolio. Non va bene». In contrasto aperto con quello dell’omologo statunitense è stato l’intervento di Emmanuel Macron. Il capo dell’Eliseo ha difeso la linea del dialogo e del multilateralismo per risolvere la crisi iraniana.
«La via dell’unilateralismo porta direttamente al ripiego e ai conflitti, allo scontro generalizzato di tutti contro tutti alle spese di ciascuno, anche di quello che si crede il più forte» ha insistito. Il presidente francese ha ricordato che il programma di armamento militare nucleare dell’Iran è stato bloccato proprio grazie all’accordo di Vienna del 2015, a riprova che «non può essere la legge del più forte, la pressione di uno solo a risolvere la situazione ». Oggi l’intervento in aula del premier italiano Giuseppe Conte che, ieri nel corso di un pranzo all’Onu, ha cercato di convincere Trump a partecipare alla conferenza sulla Libia in programma a novembre in Sicilia.