Il dramma della devastazione al confine tra Siria e Turchia - Ansa
«Abbiamo visto persone arrivare qui al campo senza scarpe, fuggite in preda al panico dagli edifici che crollavano», racconta Ammar da Termanin, cittadina nella campagna siriana a ovest di Aleppo, alternando messaggi scritti online a videochiamate con cui ci tiene a mostrare i lavori in corso. Nelle prime ore dopo il terremoto lui e gli altri undici uomini che compongono la squadra della “Fatih Sultan Dernegi”, una piccola associazione di siriani con base nella cittadina turca di Kilis, appena al di là del confine, hanno noleggiato due escavatori per dare una mano nella ricerca dei superstiti. Poi lui e i compagni hanno cominciato a pensare ai vivi. Hanno cercato di assicurare un riparo dal freddo, dalle notti in cui la temperatura scende di cinque gradi sotto lo zero. Nel primo fine settimana hanno allestito centoventi tende per altrettante famiglie. «Il bisogno è enorme. La popolazione che ospitiamo non è solo di Termanin, proviene da Jenderes, da Afrin», spiega Abdulgani Alchawakh, direttore di questa associazione turco-siriana che fa quello che può, con i fondi che ha. «Arriveremo a montare 200 tende in totale, ma non riusciamo ad allestire una struttura per preparare cibi caldi.
Eppure queste persone hanno bisogno di mangiare, di coprirsi, hanno bisogno di tutto». Dai valichi di frontiera, assicura il direttore, si riescono a fare passare gli aiuti dal secondo giorno dopo il sisma. Il problema sono i fondi e i donatori. La “Fatih Sultan Dernegi”, che nella zona già portava aiuti a dodici accampamenti di sfollati per il conflitto, da anni è sostenuta in Italia da una altrettanto piccola ma tenace associazione bolognese che si chiama “We Are Odv” (https://www.weareodv.org), che ora ha attivato una raccolta di emergenza. «Le famiglie che occupano le tende già pronte sono in uno stato psicologico difficile», prosegue Ammar, anche lui residente a Termanin e anche lui sopravvissuto alla furia del sisma prima di rimboccarsi le maniche e mettersi a lavorare ininterrottamente da dieci giorni. «La paura estrema che ha preso queste persone le ha gettate nel silenzio, non raccontano granché. Hanno perso familiari. Noi abbiamo diffuso la notizia della nascita del campo attraverso i consigli locali, così gli sfollati arrivano. Altre organizzazioni sono giunte con piccoli aiuti, pesce in scatola e un po' di pasta. Ma occorre portare acqua e pane quotidianamente». Lui e gli altri della squadra stanno ultimando l’allestimento dei restanti ottanta alloggi previsti. «In due giorni saranno pronti». Poi, però, l’associazione non avrà più tende da montare. «Al momento non ci sono fondi per comprarle, servono donatori per proseguire il lavoro».