Aung San Suu Kyi - Reuters
Da paladina dei diritti umani a negazionista dei crimini contro i Rohingya. La parabola politica di Aung San Suu Kyi, per decenni leader dell'opposizione in Myanmar e attualmente consigliere speciale di Stato e ministro degli Esteri del suo Paese, non è piaciuta al Parlamento europeo che ha deciso di escluderla dalla comunità delle personalità insignite del Premio Sakharov.
I suoi silenzi, l'avere accettato le violenze e gli abusi commessi nei confronti della minoranza musulmana hanno a dir poco indignato gli eurodeputati che oggi hanno voluto prendere le distanze rispetto al 1990, quando Strasburgo decise di conferirle il premio Sakharov per la libertà di pensiero. Un riconoscimento che viene conferito ogni anno per onorare le personalità e le associazioni che lottano per la difesa dei diritti umani.
I presidenti dei gruppi politici all'Europarlamento nel corso della consueta riunione settimanale hanno deciso di escluderla formalmente dalla Comunità dei vincitori del Premio Sakharov e da tutte le attività legate ad esso. La decisione - ha riferito l'Eurocamera - sancisce la sua inazione e la sua accettazione dei crimini in corso contro la comunità Rohingya. Una mossa, la prima di questo tipo nella storia del Parlamento Ue, che ha un valore non solo simbolico, ma anche pratico. La comunità del Premio Sakharov mette infatti in contatto deputati, vincitori e società civile per aumentare la cooperazione sulle azioni per i diritti umani a Bruxelles e in tutto il mondo. Agisce come un canale di comunicazione che consente ai vincitori e al Parlamento di affrontare congiuntamente le violazioni dei diritti umani e le questioni correlate.
La vita politica di Suu Kyi è contraddistinta da diversi momenti spartiacque. Un anno dopo avere ricevuto il Premio Sakharov per aver incarnato la lotta per la democrazia del suo Paese, le viene assegnato il Premio Nobel per la Pace, che ha potuto ritirare di persona solo anni dopo perché rinchiusa agli arresti domiciliari. Il suo diventa un caso internazionale che la porterà negli anni seguenti alla liberazione e alla carriera politica. Un cambio di passo che non piace a molti dei suoi antichi sostenitori che cominciamo a prenderne le distanze, criticandola per le sue posizioni sui Rohingya, minoranza che i birmani considerano una minaccia per la loro identità nazionale. A difesa dei Rohingya sono scesi in campo numerosi Paesi e leader politici, istituzioni e organizzazioni internazionali, dalla Corte penale internazionale fino al Parlamento europeo che con varie risoluzioni ha preso posizione contro la loro persecuzione.