Militari ucraini in una postazione russa a Bakhmut - Ansa
Il fracasso dei generatori elettrici copre i brevi boati che arrivano dal mare. Stavolta sono gli artificieri che fanno saltare in aria alcune mine galleggianti che la tempesta ha strappato dalle ancore e la corrente ha portato sulle rive. Ma c’è poco da stare tranquilli, in una città dove a preoccupare non è la presenza al largo delle navi russe, ma la loro assenza. «Quando si allontanano – spiega l’anziano posteggiatore davanti al Teatro dell’Opera – vuol dire che hanno finito i missili e tornano in Crimea per fare il pieno di armi».
Il ritmo della guerra lo si apprende in fretta. E al giorno 360 dell’anno nero voluto da Putin, tutti sanno di cosa preoccuparsi davvero. Da mercoledì sono stati registrati 142 attacchi russi solo sul territorio di Zaporizhzhya, sede della più grande centrale nucleare dell’Ucraina, occupata dai russi e regolarmente lambita dagli scambi di colpi. Il ministero degli Esteri di Kiev ha dichiarato che «edifici residenziali sono stati danneggiati e parzialmente distrutti in 20 zone» della regione.
Solo ieri Mosca ha lanciato più di 24 attacchi aerei, con una squadriglia di almeno sette Mig 32 che a velocità supersonica sono entrati dalla Belorussia facendo scattare l’allarme su tutto il Paese, senza risposta della contraerea. Negli ultimi giorni si stanno ripetendo blitz dall’alto che secondo alcuni analisti militari locali avrebbero lo scopo di misurare i tempi di reazione di Kiev e tenere impegnate le contromisure, distraendo la difesa da attacchi a sorpresa provenienti da altre direzioni. Che da oggi a fine febbraio le cose possano peggiorare verso un più profondo girone infernale se lo aspettano tutti. E in vista dei 365 giorni di guerra a Mosca serve un trofeo da esporre alla propaganda interna. Perciò il governo ucraino ieri ha chiesto agli ultimi civili rimasti a Bakhmut, la città del Donbass parzialmente circondata dai russi e passata da 70mila a poco più di 5mila abitanti, di fuggire in fretta. Si tratta in gran parte di anziani. «Se siete razionali, rispettosi della legge e patriottici, dovete lasciare la città immediatamente», ha implorato la vicepremier Irina Verseshchuk. Quel che resta dell’abitato potrebbe fare la fine di Mariupol, pressoché rasa al suolo, e i combattimenti potrebbero spostarsi casa per casa. Perciò dai soldati sulla prima linea viene ripetuto l’appello a Ue e Nato affinché facciano affluire più rapidamente l’equipaggiamento in grado di fermare l’avanzata russa e, come avvenuto a Kherson nei mesi scorsi, tentare poi il contrattacco.
I bisogni della popolazione aumentano a mano a mano che si abbassano le temperature. L’Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato un appello per aumentare i fondi per l’assistenza medica. Gli attacchi deliberati contro le infrastrutture d’emergenza non risparmiano neanche le organizzazioni umanitarie. Le Nazioni Unite hanno denunciato la distruzione di un magazzino dell’Ong ucraina Proliska, a Chasiv Yar, nella regione di Donetsk.
La struttura serviva da smistamento da cui i volontari con le agenzie Onu inviavano i rifornimenti di soccorso alle popolazioni in prima linea. A Bakhmut, in direzione di Avdiivka e altre comunità intrappolate tra i due fuochi. Nessuno è rimasto ferito, ma l’assistenza umanitaria è stata nuovamente messa in forse. Il Cremlino ha accusato gli Stati Uniti di aver istigato l’Ucraina a un’escalation. Argomenti usati proprio alla vigilia del conflitto, quando Mosca sostenne di essere stata “costretta” a intervenire. Non a caso un alto funzionario ucraino ha escluso colloqui di pace con Mosca a meno che la Russia non si ritiri.
Secondo una fonte di Washington, citata dall’agenzia Reuters, i controlli finalizzati a far rispettare le sanzioni contro Mosca «hanno lentamente ridotto la fornitura di materiali che il Paese può utilizzare per ricostruire la sua macchina da guerra». Tra una settimana, però, riprenderanno i negoziati per la prosecuzione del “corridoio del grano” sostenuto dalle Nazioni Unite e che ha permesso all’Ucraina di esportare cereali dai porti tenuti sotto tiro dalle corazzate russe. E potrebbe essere quello il momento per saggiare la disponibilità di Mosca ad ampliare i colloqui. Anche se il suono delle sirene e il fragore delle esplosioni racconta intenzioni opposte.