Bloccato in extremis. Almeno fino a nuovo ordine. Il procedimento di messa in stato d’accusa della presidente Dilma Rousseff non dovrebbe andare avanti, come previsto, con il voto definitivo, di domani al Senato. L’iter, al contrario, tornerebbe indietro, alla Camera, da cui era stato licenziato il 17 aprile. Peccato che tale decisione non fosse valida secondo il nuovo presidente dei deputati, Waldir Maranhão. Quest’ultimo ha accolto il ricorso dell’Avvocatura generale che denunciava l’esistenza di varie irregolarità nella modalità di svolgimento della consultazione. L’intera sessione – svoltasi tra il 15 e il 17 aprile –, dunque, viene annullata. Tutto da rifare, in una nuova sessione, il cui svolgimento avverrà fra altre cinque. Un tem- po piuttosto variabile, dato che il calendario viene deciso dalla presidenza. Nel mirino di Maranhão, in particolare, le indicazioni fornite dai partiti ai propri esponenti e il voto palese di questi ultimi. L’intero di sistema avrebbe tradito, in base alla petizione, un pregiudizio di colpevolezza nei confronti della presidente, impedendone il diritto alla difesa. In realtà, più delle singole considerazioni legali, a determinare la svolta è stata la rimozione del precedente presidente della Camera, Eduardo Cunha, la settimana scorsa, da parte della Corte Suprema e la sua sostituzione con Maranhão. Secondo il tribunale, Cunha avrebbe impiegato il proprio incarico per inquinare il processo e le sei inchieste aperte nei suoi confronti per corruzione, nell’ambito dello scandalo Petrobras. Quest’ultimo è stato il principale accusatore di Rousseff e uno dei più accaniti sostenitori dell’impeachment. Il suo successore, Maranhão, del Partito progressista (di centro), era in principio un fedelissimo di Cunha. Poi, all’ultimo momento, il 17 aprile, si è espresso contro la destituzione di Russeff, lasciando sbalorditi i parlamentari. Tanto che, secondo alcuni analisti, potrebbe essere stato tutto architettato da Cunha per premere sulla Rousseff e non perdere l’immunità. Quest’ultima ha ricevuto la notizia durante un evento pubblico per annunciare la costruzione di cinque nuove Università. Immediatamente, i sostenitori hanno iniziato a gridare: «Rimani! Non ci sarà il golpe». La leader, visibilmente contenta, li ha esortati alla prudenza. «Non conosco tutte le conseguenze di questa decisione. Ancora è presto per gioiere », ha affermato. In effetti, il futuro del procedimento e del Paese è alquanto incerto. Per prima cosa, l’opposizione ha già annunciato che ricorrerà, a sua volta, contro la sospensione dell’impechment. Il tempo stringe. Domani è previsto il voto al Senato. Il presidente Renan Calheiros ha preferito non annullare la seduta e in una riunione straordinaria ha confermato: «Il Senato voterà regolarmente come previsto sulla procedura di impeachment». A preoccupare il governo non è, però, solo l’intento di rimuovere la presidente. Ieri, l’ex ministro delle Finanze prima di Luiz Inacio Lula da Silva e poi di Rousseff, Guido Mantega, è stato costretto a deporre sullo scandalo Petrobras con accompagnamento coatto dalla polizia di San Paolo. Lo stesso sistema utilizzato a marzo per interrogare l’ex presidente Lula.
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