Vladimir Putin a Gerusalemme - Reuters
Il primo a venire allo scoperto, l’altro ieri, è stato Vladimir Putin. Che da Gerusalemme ha lanciato l’idea mentre con altri leader mondiali celebrava il 75esimo anniversario della liberazione del campo nazista di Auschwitz: un vertice, da tenersi «in qualsiasi luogo», tra i cinque Grandi «vincitori» della Seconda guerra mondiale che siedono anche come membri permanenti nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, il Regno Unito, la Cina, la Francia, la Russia e gli Stati Uniti. Ieri si è subito espressa a favore la Cina di Xi Jinping.
Lo scopo del vertice, stando alle parole di Putin, è quello di affrontare le sfide delle principali crisi aperte: Siria, Libia e Iran in testa, perché «la disgregazione di fronte alle minacce può portare a conseguenze spaventose». I Paesi, quindi, devono «fare di tutto per proteggere e difendere la pace» ha affermato.
«I Paesi fondatori delle Nazioni Unite, i cinque stati che detengono la responsabilità speciale di salvare la civiltà, possono e devono essere un esempio», ha insistito. Insomma, una sorta di G5 per superare le divisioni del G7, l’elefantiaca gestione dei G20 o superare l’impasse dei veti incrociati in Consiglio di sicurezza Onu. Ma anche una sorta di Yalta tra “vincitori” per risolvere, come nel secolo scorso, le grane.
Il pericolo di «spartizioni» – osservano molti – è dietro l’angolo. E in attesa delle ampie spiegazioni, che «la prossima settimana» il Cremlino invierà agli ospiti, è lecito temere che ciò che negli ultimi anni si è già manifestato, si amplifichi: la divisione del mondo per aree di influenza, un sempre meno latente ritorno ai sistemi della Guerra fredda e la pretesa di autoassegnarsi asset geopolitici ed energetici. Per ora gli europei e gli Usa di Trump non hanno ancora risposto all’invito. E meno male. Il resto del mondo, Cina a parte, non è invece neanche invitato a farlo.