Alekseij Navalny - Ansa
Le sanzioni Usa per il caso Navalny cementano l’“amicizia” tra Russia e Cina. Il collante del ritrovato feeling tra Mosca e Pechino? Le «intromissioni» – come sono state bollate dalla Cina – dell’amministrazione Biden nel “campo minato” dei diritti umani. Mosca non ci sta, e non vuole spegnere l’incendio. La doppia iniziativa Usa e Ue è «assolutamente inaccettabile». Le sanzioni «danneggiano significativamente le già deteriorate relazioni» tra la Russia e l’Occidente, ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov. E le accuse contro i servizi di sicurezza russi (Fsb), che secondo Washington sarebbero dietro l’avvelenamento di Navalny sono, a suo dire, «scandalose». Non solo: Mosca annuncia «risposte». «La nostra risposta rispetterà i nostri interessi nazionali nel miglior modo possibile», ha affermato Peskov aggiungendo che «certamente è impossibile sottrarsi al principio di reciprocità».
Al fianco di Mosca, si è schierata Pechino. Nella stanza dei bottoni cinese sono convinti che il caso Navalny faccia «interamente parte degli affari interni della Russia e che le forze esterne non abbiano alcun diritto di interferire». Così si è espresso il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin.
L’affaire Navalny - che ieri ha fatto sapere di “stare bene” - è tutt’altro che chiuso. Il ministero della Giustizia russo ha incluso il sindacato degli operatori sanitari “Alleanza dei medici”, guidato dal medico personale di Navalny, Anastasia Vasilyeva, nel registro degli «agenti stranieri»: «Sono stati accertate ripetute ricezioni di finanziamenti esteri, nonché attività politiche in relazione all’organizzazione».