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L’Europa deve togliere «gli investimenti in prevenzione idrogeologica dal calcolo delle spese correnti». Lo dice l’associazione dei consorzi di irrigazione e bonifica che aggiunge: «Quanto sta accadendo deve essere un ammonimento». I tecnici dell’acqua poi puntano il dito: in Italia ed Europa ad oggi manca un serio piano comune di adattamento alla crisi climatica. E le conseguenze si vedono ormai ovunque, ad iniziare dagli oltre 100 morti di Valencia.
«Al di là delle necessità emergenziali, il vero modo per dimostrare concreta solidarietà alla Spagna alluvionata, così come in precedenza era accaduto all’Italia ed a Paesi esteuropei, è che l’Europa assuma il contrasto e l’adattamento alla crisi climatica come obiettivi prioritari comuni», dice in una nota Francesco Vincenzi, presidente dell’Associazione nazionale dei consorzi di gestione e tutela del territorio e della acque irrigue, l’Anbi. Lo strumento per mettere in pratica questo cambio di passo è semplice: togliere dalle spese correnti quelle «che i singoli Paesi devono affrontare per aumentare la resilienza di territori e delle comunità». In questo modo, sarebbe più facile investire in quelle opere ormai più che necessarie per salvare vite umane e attività produttive.
Stando ai Consorzi di bonifica, manca di fatto in tutta Europa una politica che dia vita ad un «piano di adattamento al cambiamento climatico» che sia in grado di prevenire i disastri ormai quasi all’ordine del giorno. Perché sono ormai troppi i territori preda degli eventi senza controllo e dagli effetti imprevedibili. Massimo Gargano, direttore generale di Anbi, fa un esempio: «Solo la casualità meteorologica ha evitato che la già grave alluvione nel Bolognese non sia stata una catastrofe simile a quella della Spagna». L’Italia di catastrofi meteorologiche ha una certa esperienza. Che per molti però ha insegnato poco. Secondo i tecnici, il lungo periodo di instabilità atmosferica che ha caratterizzato finora l’autunno 2024, mette in luce tutte le fragilità della Penisola e «il forte ritardo sulla programmazione delle azioni di contrasto».
Detto in numeri, tra settembre e ottobre sull’Italia si sono abbattuti 692 nubifragi (il 91% di quelli complessivamente registrati nello stesso periodo del quinquennio 2019-2023). Nel resto d’Europa e nel mondo le cose non vanno comunque meglio. In un’alternanza tra gran secco e troppa acqua. L’America Latina ad esempio è alle prese con una delle peggiori crisi idriche della sua storia. Intanto però, una serie di alluvioni ha colpito alcune aree nel deserto del Sahara (era già avvenuto nella penisola arabica in primavera) con piogge fino a 200 millimetri in 48 ore sul Sudest di Marocco ed Algeria, ma pure la creazione di «laghi effimeri e praterie» tra le dune di sabbia. Secondo il Copernicus Marine Service, in Antartide e nell’Artide i ghiacciai si sciolgono sempre più velocemente; così come buona parte di quelli delle Alpi.
Quindi concretamente, cosa è possibile fare per evitare che l’impatto di eventi estremi come quelli che si sono scatenati su Valencia si ripeta ad altre latitudini, lasciando indifese intere comunità? Pierluigi Claps, ordinario di idrologia al Politecnico di Torino, parte da un preciso punto di vista. «I cittadini chiedono azioni concrete e la scienza può offrire spunti per agire, anche se l’evoluzione degli eventi mette tutti in difficoltà». Secondo Claps c’è però un tema di competenze. «La protezione dal rischio alluvionale è responsabilità regionale, ma sarebbe necessario agire almeno a livello della Conferenza Stato-Regioni per varare misure concrete». Detto in altri termini, «invece di procedere in ordine sparso regione per regione (o isolatamente nei distretti idrografici) è necessario unire le forze per monitorare la situazione, fare emergere le situazioni di maggiore criticità e stabilire le priorità di intervento». Conoscere prima di tutto la realtà sembra così essere l’elemento di base, accanto però alla capacità di agire presto e bene.
Coordinamento, dunque. «Serve avere - sottolinea Claps - una reale cabina di regia come quella creata da Italia Sicura». Claps però aggiunge: «C’è un’azione indifferibile: il riesame e la revisione, concreta e con supervisione scientifica, dei piani comunali di protezione civile, che rappresentano l’unica risposta immediatamente attuabile per tentare di arginare le perdite di vite umane causate da questi eventi». Tutto con un forte coordinamento che travalica i confini di un singolo Stato e anche dell’Europa. Perché di fronte ai tanti uragani che ormai minacciano le nostre vite, un piano comunale fatto bene e conosciuto è un buon inizio per metterci al sicuro.