lunedì 24 marzo 2025
Ismail Barhoum era al vertice del gruppo che denuncia: superati i 50 mila morti nell'offensiva israeliana su Gaza. Il sostegno degli Usa al pugno di ferro di Netanyahu e il dolore del Papa
Il raid israeliano sull'ospedale Nasser di Khan Younis

Il raid israeliano sull'ospedale Nasser di Khan Younis - Reuters

COMMENTA E CONDIVIDI

Dopo una fragile tregua durata poco meno di due mesi continua senza sosta la guerra in Medioriente tra Israele e Hamas. Dalla ripresa delle operazioni militari israeliane il 18 marzo, almeno 673 palestinesi sono stati uccisi nella Striscia di Gaza, dove lo Stato ebraico ha accompagnato i bombardamenti con l’interruzione della fornitura di elettricità e acqua, nonostante l’allarme delle agenzie internazionali per la catastrofe umanitaria che vivono i milioni di civili palestinesi dall’inizio delle ostilità. L’obiettivo del premier di Israele Netanyahu resta quello di costringere Hamas a cedere, liberando gli ultimi 58 ostaggi - vivi e morti - ancora in mano ai miliziani. Per raggiungerlo, l’esercito israeliano martella senza sosta in cielo e in terra l’enclave, rivendicando la distruzione degli avamposti di Hamas e per ultima, l’uccisione di Ismail Barhoum, membro dell’ufficio politico di Hamas, nel raid sull’ospedale Nasser di Khan Younis. «Era il nuovo premier di Hamas a Gaza che ha sostituito Essam al-Dalis, il precedente primo ministro eliminato qualche giorno fa», ha dichiarato il ministro della Difesa israeliano Katz.

La sua uccisione, confermata anche da Hamas, segue quelle di almeno altri membri di spicco al vertice dell’organizzazione palestinese (Salah al-Bardawil, Yasser Harb e al-Dalis). E la lunga offensiva israeliana su Gaza ha superato ormai i 50mila morti, secondo le autorità di Hamas. Oggi, più della metà della Striscia di Gaza è completamente rasa al suolo. Secondo gli esperti, non si è mai registrato un simile livello di distruzione in un'area così piccola e densamente popolata. E non importa che la guerra sia tornata a farsi sentire pure in Israele, dove anche domenica sono risuonate le sirene d’allarme a Tel Aviv per un missile lanciato dallo Yemen. Il governo di Netanyahu tira dritto confermando la linea della forza su Gaza e sul Libano, dove ha rivendicato l’uccisione di un membro di Hezbollah negli ultimi attacchi a sud, nonostante gli appelli da tutto il mondo - a esclusione degli Stati Uniti di Donald Trump - a ritornare alla tregua.

Anche Papa Francesco, nel giorno della sua dimissione dal Gemelli dopo cinque settimane di ricovero per una polmonite, ha espresso «dolore» per la ripresa delle ostilità nella Striscia, chiedendo che «tacciano le armi». Ci proverà ora l'Alto rappresentante Ue Kaja Kallas a «chiedere un immediato ritorno alla piena attuazione dell’accordo di cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi», nella sua prima visita in Israele - dove vedrà il presidente Isaac Herzog, il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar e il leader dell’opposizione Yair Lapid - e nei territori palestinesi, dove incontrerà il presidente dell’Anp, Abu Mazen, e il premier Mohammad Mustafa. Ma finora, a nulla sono serviti gli appelli a tornare al dialogo: una telefonata del segretario di Stato Usa, Marco Rubio, con il premier Netanyahu ha confermato il sostegno del Stati Uniti. Il governo israeliano sente forte l’appoggio di Donald Trump al pugno di ferro contro la Striscia, ricambiato con il sostegno al piano del tycoon per fare dell’enclave una “riviera” del Medio Oriente con il trasferimento dei palestinesi dalla Striscia. A questo proposito, l'esecutivo israeliano non ha perso tempo e ha dato luce verde alla proposta del ministro della difesa Katz di istituire una nuova amministrazione nel dicastero incaricata di consentire ai palestinesi di lasciare “volontariamente” la Striscia di Gaza, mentre i critici continuano a evocare lo spettro degli sfollamenti forzati e il rischio di violazioni dei diritti umani.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: