E' stato il «più grande processo per narcotraffico della storia statunitense». I media internazionali non si stancano di ribadirlo. Tanto che per garantirne lo svolgimento in sicurezza, per quasi tre mesi, le autorità hanno bloccato il ponte di Brooklyn due volte al giorno. Joaquín El Chapo Guzmán Loera ha monopolizzato, però, l’attenzione ben oltre i confini della Grande mela. Dal 13 novembre alla scontata sentenza, l’altro ieri, la saga del più famoso boss messicano, ideatore del cartello di Sinaloa è stata sviscerata nei minimi dettagli. Soprattutto quelli macabri. Fino a creare una versione fuori dallo schermo della serie “Narcos”. Con tanto di “lieto fine”; almeno per la giustizia americana: El Chapo è stato dichiarato colpevole dei dieci capi di imputazione. «Una vittoria», ha tuonato il procuratore distrettuale Richard Donoghue: «Il messaggio è chiaro, non importa il potere che hai: non c’è scappatoia per i narcotrafficanti». Eppure, dietro i riflettori, il processo a El Chapo lascia un retrogusto amaro. All’overdose di particolari truculenti non ha corrisposto una pari profondità di analisi su quanto accaduto nell’ultimo decennio di narco-guerra. Anzi, si ha la sensazione che i “non detti” di El Chapo resteranno rinchiusi con lui a vita nel carcere di massima sicurezza sulle Montagne rocciose. Nel corso del dibattimento, i testimoni – a partire dal “pezzo forte” dell’accusa: Jesús El Rey Zambada, fratello del braccio destro del boss – hanno rivelato tangenti milionarie versate dal leader di Sinaloa ai vertici del governo messicano. Inclusi – ha affermato El Rey – gli ex presidenti Felipe Calderón e Enrique Peña Nieto. A parte qualche timida smentita, però, le sue parole sono cadute nel vuoto. Niente è stato fatto per verificarle o negarle. Come pure sono rimasti in ombra le reti tessute dal boss per garantire l’impunità ai narcos di Sinaloa. Legami tuttora forti, dato che la banda sopravvive, pur indebolita dall’uscita di scena del capo. In ogni caso, il cartello di Jalisco Nueva Generación è già pronto a sostituirla. Lo “show” di El Chapo è finito. Quello del narcotraffico messicano, invece, continua.
Le troppe verità ignorate nel processo al narco-boss, ritenuto colpevole dalla corte federale di Brooklyn
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